*Eutanasia di Stato* di Vincenzo D’Anna*

Apprendiamo dai media che Fabio Ridolfi, 44enne affetto da tetraparesi, immobilizzato da ben 18 anni, si è dato la morte attraverso la sedazione profonda e continua. Il malato aveva atteso invano, per mesi, che l’azienda sanitaria autorizzasse la somministrazione di un farmaco letale in uso in altri paesi. Insomma la burocrazia ha impedito, in questo caso, che si potesse applicare la sentenza della suprema corte costituzionale n. 242 in materia di suicidio assistito. Più chiaramente, la sentenza della suprema corte ammetteva l’incostituzionalità dell’art. 580 del codice penale nella parte in cui non si esclude la punibilità per coloro che assistono o si rendono partecipi di un suicidio assistito. La cancellazione delle pene previste segnava, di fatto, il via libera per poter applicare senza alcun timore gli articoli I e II della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento di fine vita). Insomma: la facoltà di poter applicare le modalità equivalenti che agevolino l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno e però affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputi intollerabili, ma pienamente capace di prendere comunque decisioni consapevoli. Da Parlamentare votai quella legge ritenendolo un passo in avanti nella soluzione dello spinoso problema che riguardava l’eutanasia. Tuttavia temevo che da quella norma sul trattamento di fine vita si sarebbe innestata, nel tempo, la corsa al suicidio assistito per tutti coloro i quali pretendono dallo Stato di pagare il conto della volontà di porre fine alla propria esistenza. Quello stesso Stato che incarcera gli assassini e che ha cancellato la pena di morte perché non può diventare egli stesso, in quanto Stato, omicida di coloro che sono rei di aver ucciso. Il principio della sacralità della vita e della sua difesa come cardine della civiltà umana, del patto sociale che garantisce la pacifica convivenza tra tutti gli appartenenti al consesso sociale, con l’eutanasia rischia di dissolversi aprendo un vuoto etico ed una terribile contraddizione. Di questo passo non si potrà che andare incontro alle più svariate richieste di suicidio assistito e la discrezionalità di accoglierle o meno, a seconda dei casi. Tutto questo porterà la società ad allargare le maglie del relativismo etico tollerato e consentito. Nel contempo aumenteranno le pretese che sia lo Stato stesso a dover pagare i costi della soppressione della vita umana. Insomma, cosi come tutela la salute psico fisica dei cittadini, con il suo sistema sanitario universale e gratuito, così lo Stato dovrà assentire, garantire  e sopportare i costi dell’eutanasia. Problemi di natura giuridica e morale  che, a quanto pare, non vengono colti da molti cittadini che confondono la “pietas” per quanti soffrono, per una patologia irreversibile, con il diritto soggettivo dei medesimi a sopprimere la propria esistenza. In una società nella quale il principio naturale di tutelare la vita viene messo in discussione, si apre un baratro che comporterà una profonda revisione della natura stessa dei doveri che lo Stato deve assumersi nei confronti del cittadino. Se cade questo argine la vita stessa sarà considerata e valutata come un bene relativo. Chiunque potrà chiedere di rinunciarvi impunemente ed ogni motivazione si trasformerà in diritto negativo, ovvero un diritto indisponibile alla potestà stessa dello Stato. Di questo passo autorizzeremo l’eutanasia ai bambini cerebrolesi, ai paralitici, ai sordo-ciechi, ai malati terminali di cancro, a tutti quelli ai quali la medicina predittiva (indagini genomiche) diagnosticherà malattie croniche ed invalidanti come la SLA, l’Alzheimer e la demenza senile? Avremo reparti ospedalieri in cui si opera per salvare vite umane ed altri in cui la vita si sopprime in nome di una richiesta soggettiva che si poggia sulla limitazione delle piene facoltà dell’individuo o da malattie croniche e degenerative? Chi risponde a queste domande e quali leggi disciplineranno la materia stabilendo i limiti e la tipologia dei casi nei quali lo Stato deve intervenire in negativo sulla vita? Fu così anche con l’aborto. Allora si parlò di assistenza sociale e psicologica per la donna, di consultori familiari e profilassi preventiva per non trasformare l’interruzione di gravidanza in un volgare ed atroce metodo di limitazione delle nascite. Qualcuno sa indicare chi o cosa possa oggi arginare le pratiche abortive anche in giovani donne spesso in età adolescenziale? Sui social, ormai specchio dell’ignoranza e della irrilevanza dell’etica pubblica e della libertà irresponsabile, si plaude al suicidio di Fabio e lo si raccomanda alla pace di Dio, di quel Dio che non si sottrasse né al dolore né alla morte intesa come atto conclusivo e fisiologico della vita. Morire con dignità, assistito e senza dolore, in accordo con le volontà dei malati che rifiutano l’accanimento terapeutico, è un atto di civiltà. L’eutanasia a piacimento è l’esatto contrario.

 

*già parlamentare