Dario Franceschini è un politico abile e discreto, oserei dire l’ultimo della grande tradizione dello “scudo crociato”, quella, per intenderci, che sa navigare in tutti i mari e con ogni tempo. La sua cifra distintiva è l’assenza di clamore, l’agire felpato e penetrante ma che arriva al sodo senza perdersi in fronzoli. Franceschini è un democristiano di sinistra, di quelli che hanno frequentato sia le sagrestie che la scuola del cinismo politico, attrezzato quanto basta per sembrare un prete ma pronto ad agire con l’astuzia del brigante. Come tutti i seguaci di Giuseppe Dossetti, figura carismatica di intellettuale nella Dc del secolo scorso, è un convinto rappresentante dei cattolici democratici, quella costola della Libertas che, negli anni del massimo fulgore politico e dialettico di quel partito, inseguiva una visione socialista della società italiana. Erano quelli gli anni in cui il popolarismo liberale di Luigi Sturzo e poi di Alcide De Gasperi, andava tramontando per lasciar spazio alla visione statalista e pauperista dei governi di centrosinistra. Con Dossetti militava la schiera dei “professorini”, come venivano chiamati allora Giorgio La Pira, sindaco in odore di santità di Firenze; Giuseppe Lazzati rettore della Università Cattolica, dichiarato servo di Dio dalla Chiesa; Amintore Fanfani, docente universitario, per lungo tempo segretario politico della Dc e presidente del Consiglio dei Ministri. Costoro erano profondamente credenti e molto impegnati a realizzare, attraverso la politica, una costante azione  sociale che si trasformò, per molti di essi, in vera e propria vocazione. Furono anche ferventi antifascisti e per questo propensi a dialogare e trovare spunti di comune convergenza con i socialisti ed, in una qualche misura, anche con i comunisti percepiti come difensori del proletariato. In effetti, come ebbe a scrivere il filosofo e politico Rocco Buttiglione, ritenevano il Fascismo il male assoluto nel mentre, in nome della Resistenza e della redenzione delle classi più disagiate, consideravano il marxismo un male relativo ed emendabile. Da questo ambiente vennero fuori i proseliti di prima generazione (Andreatta, Prodi, Bindi) e  quelli di seconda  generazione tra i quali, appunto, Dario Franceschini. Con la scomparsa della “Balena Bianca” il nostro ministro dei Beni  Culturali è approdato sulla sponda del centrosinistra, prima tra i popolari, poi nell’Ulivo, infine nel Pd di Veltroni, quello che avrebbe dovuto accantonare l’eredità comunista. In quota dem Franceschini ha saputo farsi spazio rimanendo ai vertici in tutte le stagioni forti della rete di amici ex democristiani di sinistra. Sotto quelle insegne è stato più volte ministro (e da tempo) ai Beni Culturali. Strano che un uomo tanto potente nel partito e tanto ambizioso si sia affezionato ad un Dicastero, quello dei Beni Culturali, che per i più, non sembra essere poi una meta così ambita ed importante. Tuttavia, a ben vedere, così non è visto che l’Italia possiede la maggior parte dei beni e dei giacimenti culturali, monumentali ed artistici del mondo. I soldi non mancano, il Ministero ha un suo portafoglio, sia per i finanziamenti italiani che per quelli europei. Un bacino di consensi assicurato, proveniente dalla gestione di decine di Soprintendenze sparse in Italia con migliaia di dipendenti. Ma quel che più fa gioco al politico è la notorietà, oserei dire la propaganda, di cui questi beneficia ogni qualvolta un monumento viene restaurato, un museo ristrutturato e reso fruibile al pubblico oppure una nuova opera d’arte viene alla luce per la perizia di archeologi, architetti, restauratori ed addetti ai lavori. In questo contesto viene fuori la scaltrezza di un politico navigato come Franceschini che ha saputo trasformare ogni cosa in un evento di straordinaria importanza. Ma l’ottimo è nemico del bene e spesso le esagerazioni si possono tramutare  in danno d’immagine. E’ di queste ore il battage mediatico sul “ritrovamento”, negli scavi di Pompei, di un armadio contenente attrezzi di vario uso all’epoca in cui la cittadina romana era nel suo massimo fulgore. Con grande risalto di stampa si è propinata all’opinione pubblica una falsa scoperta. In realtà, infatti, gli oggetti “ritrovati” risultavano perfettamente conservati per il semplice fatto che, con tanto di cartellino, erano… già stati catalogati e restaurati perché, semplicemente, riportati alla luce gia’ da qualche tempo e poi lasciati in un armadio!! Ma incombe la campagna elettorale ed il buon Ministro a quanto si dice, pare voglia candidarsi a Napoli in compagnia di Massimo Osanna già soprintendente a Pompei, poi trasferito come direttore generale al Ministero. Accolito dei due l’attuale “creatura” di Osanna, sovrintendente di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, abbozza e tiene bordone. Insomma che la Meloni sia rappresentata, dalla sinistra,  come un “rischio fascista” ci sta pure. Ma che il cattocomunista Franceschini trasformi il Ministero in una sorta di Miniculpop di mussoliniana memoria è un po’ troppo…

 

*già parlamentare