*Il Rubicone dei piccoli Cesari*
di Vincenzo D’Anna*
“Il dado è tratto”. Ecco una frase scritta nella storia dell’umanità, conosciuta un po’ da tutti. Di quelle che si apprendevano in classe, quando ancora la scuola insegnava ed istruiva, invece di limitarsi a svolgere un’altra funzione: quella sociale di accogliere ed equiparare socialmente coloro che la frequentano. Il lettore non si dolga pertanto se ci permettiamo di ricordare eventi già noti a beneficio di quanti quelle nozioni non le hanno mai ricevute. Nel gennaio del 49 a.C., Caio Giulio Cesare, la cui stella allora risplendeva gloriosa perché reduce dalla vittoriosa guerra contro i Galli, si trovò a dover obbedire al Senato ed al divieto di oltrepassare taluni limiti territoriali a capo delle legioni a lui affidate. Lo storico Svetonio ha narrato, con ricchezza di particolari, quegli eventi rilevando che a Roma la fazione a lui avversa, che faceva riferimento a Gneo Pompeo ed a parte dei Senatori, temeva che Cesare cancellasse la Repubblica per dare vita ad un assolutismo personale. Pertanto Caio Giulio fu invitato a non entrare in armi nel territorio dell’Urbe. Insomma per Cesare si presentava un atroce dubbio: osservare formalmente le leggi oppure attraversare il confine per sconfiggere coloro che tramavano contro di lui per sete di potere e per invidia? Il limite territoriale era rappresentato da un piccolo fiume, il Rubicone, che scorre tra Cesena e Rimini. Valicarlo avrebbe significato una guerra civile contro Pompeo. Gli storici descrivono minuziosamente quel momento e ci narrano che Cesare, decisosi, alla fine, a oltrepassarlo, ebbe a pronunciare la famosa frase: “Andiamo dove ci chiamano i prodigi degli dèi e l’iniquità degli uomini. Sia tratto il dado”. Fu così che ebbe inizio lo scontro, ma di converso prese anche il volo la fulgida carriera del più grande politico e condottiero romano di tutti i tempi. La morale che se ne ricava è quella che in uno stato di necessità vada scelta la via più confacente alle proprie idee ed al sentimento etico che le anima. Carlo Calenda è un uomo ben istruito per non ricordare questo portato storico e morale e, sia pure in sedicesimi, dovrà pur decidere se varcare o meno il “Rubicone politico” assumendosi l’onere di una dura battaglia elettorale per giungere, nel dopo elezioni, a realizzare un partito liberale e riformista in Italia. Quest’ultimo manca da quando Berlusconi ha depauperato il progetto di Forza Italia, cancellando la rivoluzione liberale e la lotta allo statalismo ed ai suoi decennali sprechi e sperperi. Come Cesare, il Cavaliere disponeva di un nutrito esercito di intellettuali liberali e riformisti esperti in ogni settore, da Marcello Pera a Giuliano Urbani, da Antonio Martino a Gianni Baget Bozzo, da Francesco Forte a Renato Brunetta, da Giuliano Ferrara a Vittorio Feltri, da Carlo Scognamiglio al redento Lucio Colletti, solo per citarne alcuni. Questi misero, nero su bianco, un programma rivoluzionario per quei tempi, che mirava ad ammodernare e rendere efficiente lo Stato, introducendo un’economia di libero mercato, aumentando le libertà individuali dei cittadini, riducendo la burocrazia, migliorando la fiscalità e la giustizia. Come sia andata a finire lo abbiamo visto (sia pure con qualche sprazzo di positività nel primo governo Berlusconi). Buona parte di quei consensi sono andati dispersi per delusione degli elettori moderati e dei riformisti di ogni colore, in sincronia con la decadente e poco commendevole condotta del leader di Forza Italia. Insomma siamo passati dall’empireo all’alcova, dai maître a penser alle maîtresse, dalla rivoluzione alla conservazione degli interessi dell’azienda di famiglia. Ma tant’è, molti di quegli elettori hanno progressivamente preso la strada dell’astensione oppure votato per quello che di meno peggio era presente nell’offerta politica di turno. Lo stesso dicasi per un altro piccolo Cesare, quel giovanotto ex sindaco di Firenze che si è incartato nella sua furbizia e nella propensione a vivere di comode certezze evitando rischi ma alienandosi simpatie. Stiamo parlando di Matteo Renzi. Anch’egli non ha voluto varcare il Rubicone di un partito riformista e moderato dopo aver perso con dignità il referendum costituzionale. Ora la Storia concede a questi due piccoli Cesari la possibilità di varcare il fiume della mediocrità e delle piccole tattiche politiche. Il fato assegna loro un’opportunità di scrivere una pagina nuova che riprenda la strada berlusconiana con migliori propositi e, si spera, migliori esiti nel medio periodo. Quali presagi stiano aspettando entrambi non è dato sapere. Certo però è chiara l’iniquità degli uomini che oggi fanno politica affidandosi alle antinomie ed alle antipatie secondo schemi che hanno già abiurato negli ultimi governi, facendo comunella con Conte e Draghi. Per attraversare il Rubicone ci vuole il coraggio e chissà se questa sia dote posseduta dai due piccoli Cesari.
*già parlamentare