*Arsenico e vecchi merletti* di Vincenzo D’Anna*
Il film dal quale è tratto il titolo di questo articolo, è stato inserito tra i cento migliori mai prodotti al mondo. Il regista, Frank Capra, fu un maestro di quell’arte, avendo legato al suo nome buona parte dei grandi successi si Hollywood. L’attore principale l’affascinante Cary Grant, protagonista di una storia dalle tinte noir, non fu da meno. La trama, in estrema sintesi, narra della storia di tre vecchi fratelli che gestiscono una pensione e che hanno un piccolo “difetto”: quello di avvelenare gli ospiti con un intruglio velenoso per poi seppellirli in cantina. Alla fine, rinchiusi in manicomio, rivelano al nipote – venuto a conoscenza dell’incredibile pratica assassina – che si tratta di un parente acquisito, liberandolo così dall’angoscia di poter aver ereditato la stessa tara di follia di coloro che credeva suoi congiunti. Perché un richiamo a questo lontana opera cinematografica, edita nel 1944? È presto detto: per usarla come paradigma dei crimini che ancor oggi vengono commessi senza che essi destino particolare stupore. Crimini non certo materiali ma parimenti mortiferi come l’uso dell’inchiostro intinto nel veleno per screditare, anche dopo la morte, gli avversari politici. Parliamo di quel tipo di giornalismo che antepone le proprie opinioni ai fatti, che non demorde innanzi a niente, neanche alla pietas ed al cordoglio che pure si deve ai defunti. Un egocentrismo folle induce, oggi, molti giornalisti a travalicare i compiti precipui di una professione, la loro, che sarebbe quella di informare correttamente i lettori, per assumere le vesti di moralizzatori intransigenti nonché giudici della morale altrui e della verità assoluta. Spesso questi fanno uso delle veline che altri soggetti, quasi sempre del ramo giustizia procurano loro, evadendo anch’essi il codice morale, oltre che quello penale, sotto forma di atti indiziari o di teoremi che, in gran parte, dopo anni di calunnie e discredito, finiscono nel nulla. Tuttavia il danno è fatto e non c’è verso di riabilitare nessuno che sia stato quotidianamente “mascariato“ a mezzo stampa. Quelli ancora più esaltati ritengono di poter essere addirittura il faro, il punto di riferimento, per taluni partiti politici che del giustizialismo e del moralismo spicciolo fanno la loro bandiera. Insomma un combinato disposto mass mediatico, politico e giudiziario che non lascia scampo al malcapitato da colpire, per eliminarlo dalla scena, privarlo della onorabilità sociale. Come tutti quelli che sono precipuamente intenti a badare alla moralità degli altri spesso perdono di vista la propria, rendendosi sostenitori di fatti non provati dei quali diventano assertori senza dubbio alcuno. Insomma: stiamo parlando di operatori della pseudo informazione che aspirano a diventare essi stessi soggetti politici con l’ambizione di fungere da guida ideologica e morale di quella parte di opinione pubblica che, per indole ed intendimenti, è disposta a dar credito a determinate prese di posizione. Non c’è pelo che non diventi trave negli occhi di coloro che sono ritenuti militanti in campo avverso, più che avversari sono ritenuti nemici oppure, peggio ancora, materiale da isolare dal contesto sociale e politico. Taluni mestieranti si autocelebrano, in genere, come progressisti ed innovatori, si distinguono per l’astio che compare nelle loro parole e nei loro scritti. L’elenco nominativo di questi soggetti particolarmente manichei sarebbe lungo se solo attraversassimo le redazioni di taluni giornali ed emittenti televisive. Quanto al loro essere “avanguardia intellettuale” dura e pura del progresso, basterà ricordare che Giuseppe Prezzolini, come Indro Montanelli ed altri grandi giornalisti di spessore culturale, ammoniva che non sempre le innovazioni sono sintomo di progresso e che il conservatore spesso tende a conservare le cose buone validate dal tempo. Ecco allora che finanche la morte può essere l’occasione per screditare, per l’ultima volta, il nemico di turno, presentandone un’agiografia partigiana e riduttiva. E’ quanto sta accadendo, in queste ore, con la scomparsa del senatore forzista Nicolò Ghedini presentato dal solito “Fatto Quotidiano” quasi come un complice di Silvio Berlusconi ed un inveterato manipolatore di leggi ad personam. Travaglio è abbastanza ignorante per comprendere che l’avvocato non difende i reati del proprio cliente, ma permette al medesimo di potersi difendere in tribunale. Insomma attribuire a Ghedini un surrettizio scopo di fare carte false solo perché sodale di Berlusconi, è un miserabile e meschino imbroglio. Lo stesso dicasi per le cosiddette leggi ad personam, volendo tacere di quelle “contra” personam varate , cioè, per colpire il Cavaliere, che, discusse ed approvate dalle Camere, non hanno niente a che fare col singolo parlamentare. Insomma l’arsenico ed i vecchi merletti come arma faziosa per colpire finanche un morto.
*già parlamentare