Le porte girevoli, che non gireranno più lungo l’asse politica-magistratura, sono forse il motivo principale per cui non ci sarà alcun magistrato in servizio tra i candidati alle elezioni politiche del 25 settembre, salvo sorprese delle ultime ore. A memoria nessuno ricorda che sia mai accaduto. Anche alle politiche del 2018, sia pure un unica candidatura, c’è stata: quella di Giusy Bartolozzi, giudice della corte d’Appello di Roma, eletta deputata con FI, ora al gruppo misto. L’ altro magistrato-parlamentare uscente è Cosimo Ferri, ma già in aspettativa da molti anni per via del suo incarico precedente di sottosegretario alla Giustizia con diversi governi. A sancire che nessuna toga in servizio sia tra i candidati di Camera e Senato è stato ieri il vice presidente David Ermini al plenum straordinario del Csm, fissato prima della pausa estiva, proprio in vista delle politiche. In base alla legge Cartabia, infatti, “non sono eleggibili i magistrati che, all’atto dell’accettazione della candidatura, non siano in aspettativa senza assegni”. In ogni caso Ermini si è affrettato a dire che “qualora arrivassero domande nelle prossime ore”, saranno valutate, dato che, formalmente un magistrato potrebbe candidarsi anche domenica: le liste devono essere chiuse entro domani e depositate entro lunedì. Ermini, in vista del plenum di ieri, aveva sollecitato “la tempestività necessaria” delle richieste di aspettativa ma al Csm non è arrivata alcuna richiesta. Le uniche toghe neo candidate sono in realtà magistrati in pensione, anche se da poco: l’ex Pg di Palermo Roberto Scarpinato e l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, entrambi voluti da Giuseppe Conte. Magari i partiti non ambiscono più ad avere magistrati nelle loro liste dopo che anche le toghe, quasi come i politici, hanno perso la fiducia degli italiani a causa del caso Palamara. Sicuramente sull’assenza di candidature pesa soprattutto la norma della riforma Cartabia sul blocco delle porte girevoli. È uno dei pochi punti sopravvissuti della riforma Bonafede, affossata dal governo Draghi, che fa appendere la toga al chiodo ai magistrati eletti, in questo caso in Parlamento: alla fine del mandato devono essere collocati presso i ministeri di riferimento o le sezioni consultive del Consiglio di Stato, di controllo della Corte dei Conti e il Massimario della Cassazione. Vietato ai non eletti di esercitare dove si sono candidati e per 3 anni potranno fare solo il giudice collegi.