Non c’è un solo “eterno fascismo”. Prima di Eco lo hanno detto Sciascia, Brancati e Giorgio Bocca 

C’è davvero, come pare, un “fascismo eterno” degli italiani? Umberto Eco lo affermò in un incontro tenuto il 25 aprile 1995 alla Columbia University. Ma fu lui a parlarne per primo, come molti o quasi tutti asseriscono? A descrivere un “eterno fascismo italico”, in netto anticipo su Eco, in verità furono tra gli altri Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia (1921-1989) e Giorgio Bocca. Ossia tre grandi protagonisti della letteratura, del giornalismo, che sono stati dimenticati o non sono stati riletti o forse mai letti (che sembra più probabile).

Brancati parlò di un “eterno fascismo italico”. E Bocca scrisse: “Sono anni ormai che ci chiediamo se il fascismo ritornerà, ma tranquilli amici, un po’ è già tornato; non il fascismo del ventennio, ma quello di sempre, autobiografia della nazione, frutto spontaneo del nostro autoritarismo anarcoide, del nostro piacere di servire, della retorica patriottarda”.

Oltre a Brancati, Sciascia amava Giuseppe Antonio Borgese. Così nel 1983, in Cruciverba, l’autore di A ciascuno il suo rimarcò il “silenzio” su Borgese spiegando che era calato “nel trionfante antifascismo che dal fascismo, dall’eterno fascismo italiano, sembrò ricevere certe consegne”. In A futura memoria quindi osservò: “Il fatto è che i cretini, e ancor più i fanatici, son tanti; godono di una così buona salute non mentale che permette loro di passare da un fanatismo all’altro con perfetta coerenza, sostanzialmente restando immobili nell’eterno fascismo italico. Lo Stato che il fascismo chiamava ‘etico’ (non si sa di quale eticità) è il loro sogno e anche la loro pratica”.

Tutti i temi trattati da Eco nel 1995, in sostanza, erano già abbondantemente presenti in Sciascia, in Brancati e in Giorgio Bocca. Sciascia scrive in Nero su nero, del 1991, che “le radici del fascismo sono tante, si allungano e affondano in tante direzioni, in tanti strati: ma le più forti e riconoscibili sono indubbiamente quelle che si diramano e si nutrono nell’intolleranza. E di intolleranza in Italia oggi ce n’è tanta, troppa; al di là di quello che è il caso di chiamare limite di tollerabilità dell’organismo sociale”. Aggiunge poi che “troppo si è creduto che il fascismo fosse ormai relegato nel folclore, come certe feste patronali che che soltanto sopravvivono per l’attaccamento dei vecchi e le offerte degli emigranti”.

Una volta, nel 1979, gli domandarono: “Il fascismo può tornare?”. Rispondendo alla giornalista francese Marcelle Padovani, Sciascia disse: “Ancora oggi credo che una buona parte degli italiani (di destra, di sinistra, di centro) vivrebbe nel fascismo come dentro la propria pelle. Magari dentro un fascismo meno coreografico, con meno riti, meno parole: ma fascismo. Un regime che non dia la preoccupazione di pensare, di valutare, di scegliere”. Ecco la prima illuminazione: non “il” fascismo è sempre possibile. Ma “un” fascismo.

Di attualità vivissima è ciò che lo scrittore di Racalmuto appuntò in un altro brano di Nero su nero. Laddove annota come la vera pericolosità del fascismo, quello “eterno” degli italiani, “si annida e nasconda in luoghi insospettabili, sotto diciture rassicuranti: come in un alberello di farmacia su cui si legge bicarbonato e contiene invece arsenico”.

FONTE: DI MASSIMO NOVELLI 12 SETTEMBRE 2022