Si è spento a Parigi Jean Luc Godard, regista e commediografo francese, simbolo e animatore di una corrente di pensiero denominata “Nouvelle Vague”, letteralmente “nuova ondata”, che ha caratterizzato la cultura cinematografica e sociale tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Un suo film, interpretato da un giovanissimo Jean Paul Belmondo, mostro sacro del cinema transalpino, “A bout de souffle” (fino all’ultimo respiro), ha rappresentato il manifesto di quella linea culturale. A Godard si deve sostanzialmente la nascita di una nuova visione della realtà sociale da parte delle giovani generazioni uscite dal disastro materiale e morale provocato dalla seconda guerra mondiale. In quel tempo, infatti, la struttura sociale e la mentalità erano rimaste pressoché le stesse di quelle ante guerra. In compenso, l’enfasi di dover ricostruire quel che il conflitto aveva distrutto e di raggiungere, così, un nuovo stato di benessere, era un po’ la filosofia diffusa che animava la società di allora. Furono pochi a cogliere, in quel contesto, il segno dei tempi nuovi ed a comprendere, con largo anticipo, che il mondo stava cambiando anche nella mentalità e nei costumi e che avrebbe riorganizzato finanche la scala dei valori che orienta i comportamenti di ciascun individuo. Parigi era sempre stata un crocevia di intellettuali e di artisti, molto spesso riparati in Francia per cogliere gli umori dell’arte e della filosofia che orientava ed innovava il pensiero. E quale migliore strumento di diffusione delle idee del cinema per raggiungere la massa? In Italia il neo realismo di Rossellini e De Sica aveva già rappresentato un mondo affamato nel quale le miserie della guerra avevano vieppiù allargato il solco tra borghesi e proletari creando larghe sacche di povertà e di emarginazione sociale. Nel Belpaese la cultura neorealista rimase, tuttavia, nell’ambito artistico e non si ribaltò mai su quello politico e sociale, cosa che invece sarebbe accaduta in Francia proprio con Godard ed altri registi suoi connazionali come Luis Malle e Francois Teuffaut. Furono infatti i nostri cugini d’Oltralpe a sviluppare il neorealismo italiano trasformandolo in “Nouvelle Vague”, sostenendo quella nuova funzione di un cinema che si fa denuncia e che tende a sviluppare nello spettatore la riflessione su tematiche sociali e politiche. Sarebbero venuti, sull’onda di questa forma di denuncia sociale che si fa politica, i filosofi esistenzialisti (J.P. Sartre, Albert Camus, Simon De Beauvoir e Jean Cocteau). Per comprendere quando grande sia stato quel movimento, sul piano sociale e culturale, basti pensare che le idee di quella generazione orientarono altrove pensatori come Adorno e Marcuse, Pasolini e Moravia tanto per citarne alcuni. Un’impalcatura sulla quale gettò le proprie radici la rivoluzione e la protesta studentesca del 1968, che ribaltò radicalmente costumi, mentalità e comportamenti un po’ in tutti gli ambiti sociali. Una crisi di sistema che modificò il modello universitario e scolastico, intaccando i rapporti dentro la famiglia patriarcale e quello tra i generi, con gli albori del movimento di liberazione della donna. Alla fine il maggio francese del ’68 divampò in tutta Europa investendo come un ciclone una società vecchia ed ingessata. La politica e l’impegno sociale diventarono così il tratto distintivo di una generazione e di quelle che poi sarebbero seguite per due decenni. Non sta a me giudicare, dopo mezzo secolo, quale sia stato il frutto positivo di quella rivoluzione culturale (compito che semmai spetta agli storici ed ai sociologi). Tuttavia quella cultura ci emancipò e ci fece comprendere il valore della rivendicazione dei diritti e la possibilità che il potere poteva essere democraticamente ribaltato con la partecipazione alla politica. Insomma ciascuno si illuse di poter cambiare le cose del mondo. Altre forme d’arte come la musica e la pittura, altri ambiti culturali come la sociologia e la pedagogia, si rigenerarono e si affermarono sulla ali di una nuova libertà di pensiero. In quei tempi i giovani che non si impegnassero sulle tematiche sociali e politiche erano poco considerati, il cambiamento mise in funzione quell’ascensore sociale e culturale che consentì a migliaia di ragazzi di migliorarsi ed elevarsi nel loro contesto di vita. Questa, in breve, il retaggio di un’idea che nacque da una forma d’arte e si diffuse, oggi si direbbe in modo virale. C’e da chiedersi chi celebreranno, in futuro, i rappresentanti delle generazioni dei giorni nostri, opulente e disincantate, disilluse anzitempo, sostenute da redditi di cittadinanza e da altre greppie statali? La scelta comunque è ampia: i cinepanettoni dei fratelli Vanzina, i film di Checco Zalone, oppure quelli di Boldi e De Sica? Vasta anche la scelta libraria da Isabelle Allende a Camilleri, fino al plagiatore Saviano con “Gomorra”. Generazioni quindi che crescono senza riferimenti, barche che, per quanto lussuose, non lasciano alcuna traccia. Fuori dalla Storia ed immersi fino al collo nella brutta cronaca che non ha respiro futuro.

*già parlamentare