LA CASSAZIONE HA CONFERMATO LA CONDANNA A 27 ANNI PER EMILIO LAVORETANO CHE UCCISE LA MOGLIE KATIA TONDI – INUTILE, ANZI DANNOSA, LA SOSTITUZIONE DELL’AVVOCATO NATALINA MASTELLONE –
– Doccia fredda per Emilio Lavoretano, l’ex gommista di Santa Maria Capua Vetere per il quale da qualche giorno è diventata definitiva la condanna a 27 anni di reclusione per il delitto della moglie Katia Tondi, la giovane mamma di 31 anni trovata strangolata nell’appartamento coniugale di San Tammaro il 20 luglio del 2013. Tondi ha appreso della condanna nel carcere di Terni, dove fu trasferito all’indomani dei pestaggi e delle violenze avvenuti sui detenuti nell’aprile di due anni fa nel carcere di Santa Maria Capua Vetere da parte degli agenti penitenziari. Il ricorso in Cassazione, curato dagli avvocati Alfredo Gaito, Carlo Destavola ed Elisabetta Carfora, è stato ritenuto inammissibile dai giudici della Corte Suprema. La condanna anche in secondo grado era stata chiesta anche dall’avvocato Gianluca Giordano che rappresenta la parte civile, assistendo i familiari della vittima con altri colleghi.
Lavoretano era stato condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere a 27 anni di carcere (il pm però ne aveva chiesti 25). L’ex gommista fu condannato nel 2019, dopo 71 udienze celebrate in Corte di Assise ed a distanza di sei anni e mezzo dal delitto. Dopo qualche giorno, nel gennaio del 2020, per lui si aprirono anche le porte del carcere. Quello di Katia Tondi è stato un omicidio commesso nel più totale silenzio, senza essere accompagnato da litigi, grida o trambusti tanto da non destare nemmeno l’attenzione di due cani Pincher di proprietà di una vicina di casa (anche lei sentita in aula nel corso del dibattimento) che solitamente abbaiavano al minimo rumore e, quindi, apparentemente premeditato. Secondo l’accusa e la relazione dei periti, Katia Tondi sarebbe stata strangolata (mai trovato l’oggetto utilizzato per ucciderla) tra le ore 18 e le 19 del 20 luglio, in un arco temporale, in cui – per l’accusa – Lavoretano era in casa e avrebbe ucciso d’impeto la moglie.
Nel corso del lungo dibattimento in primo grado, tanti furono gli scontri tra accusa e difesa e molti contrasti emersero nonostante l’intervento di periti, consulenti e superperiti. Nell’ottobre dello scorso anno per Lavoretano si pronunciò anche la Cassazione, in relazione ad una istanza di scarcerazione negata dal Tribunale del Riesame, decisione confermata dagli ermellini. Nella loro motivazione, i giudici della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere motivarono quel delitto, definendolo d’impeto: la Procura in un primo momento aveva imboccato il movente dell’amante, eventuali relazioni dell’uomo però mai trovate. Da qui si è passati al movente della gelosia basate sulle dichiarazioni della madre della vittima. Lui sarebbe stato geloso della moglie ma anche da questa pista si è passati alla strada dell’attrito tra Katia e la madre di Lavoretano. Circostanze però condite da molte contraddizioni come ha sostenuto la difesa in aula per lungo tempo. Lavoretano è fra i denunciati-vittime dei pestaggi avvenuti nel carcere a Santa Maria ma non ha partecipato alle sommosse.
FONTE: BIAGIO SALVATI – IL MATTINO