«Ma, secondo voi,
chi è stato?»
Berlusconi,
ieri sera,
ai fedelissimi

LaPresse

Silvio Berlusconi parla a ruota libera della guerra ucraina durante il suo intervento alla riunione dell’assemblea di Forza Italia alla Camera, ripreso in un audio ottenuto in esclusiva da LaPresse. “Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Zelensky, secondo me… lasciamo perdere, non posso dirlo…”.Questa la versione del leader di Forza Italia sullo scoppio della guerra in Ucraina: “Sapete com’è avvenuta la cosa della Russia? Anche su questo vi prego, però, il massimo riserbo. Promettete? (…) La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l’altro. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche. I morti diventano (…). Disperate, le due repubbliche (…) mandano una delegazione a Mosca (…) e finalmente riescono a parlare con Putin. Dicono: ‘Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu’. Lui – aggiunge – è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia. E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni. Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina”.Berlusconi, inoltre, ha aggiunto: “Quello che è un altro rischio, un altro pericolo che tutti noi abbiamo: oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io…”.“La guerra condotta in Ucraina è la strage dei soldati e dei cittadini ucraini. Se lui diceva ‘Non attacco più’, finiva tutto (…). Quindi se non c’è un intervento forte, questa guerra non finisce”, ha concluso.

Amleto di Tommaso Labate Corriere della Sera

«È uno stillicidio senza fine», si sente dire Silvio Berlusconi all’ora di cena, quando a Villa Grande cala il sipario su un’altra giornata drammatica. La televisione, nella sala da pranzo, è accesa. E il Cavaliere, dopo che i telegiornali hanno passato in rassegna il robusto Capitolo 2 dell’audiogate nato dalle registrazioni dei suoi interventi all’assemblea dei parlamentari azzurri di ieri l’altro, con voce tutto sommato tranquilla chiede ai fedelissimi come se lo chiedesse a sé stesso: «Ma, secondo voi, chi è stato?».Oltre il punto interrogativo alla più semplice delle domande, e dietro le possibili risposte sulla «manina» che ha registrato il suo argomentare eterodosso sull’aggressione all’Ucraina, c’è il senso di una guerra che si combatte dentro Forza Italia. Era cominciata nei giorni successivi alle elezioni, quando attorno a due figure — Antonio Tajani e Licia Ronzulli — si erano costruiti rispettivamente un fronte governista e dialogante con la leader di Fratelli d’Italia; e un altro di segno opposto, di aperta ostilità rispetto al lavoro messo in campo da Meloni nella costruzione del governo. E non si è mai fermata nemmeno quando, in via della Scrofa, i leader dei due partiti avevano messo il sigillo su una tregua durata neanche ventiquattr’ore.Chi ha registrato gli audio di Berlusconi diffusi poi dall’agenzia LaPresse? Un deputato o uno degli ex deputati comunque presenti? A chi appartiene la «manina»? Gli amici di Tajani, da martedì sera, temono un sabotaggio della sua corsa verso la Farnesina. L’ex presidente del Parlamento europeo, che può contare su tantissime sponde a Bruxelles (e infatti, nella sua dichiarazione sul caso, il presidente del Consiglio Ue Charles Michel ha sorvolato sugli audio di Berlusconi) consegna a Twitter la sua ancora di salvataggio. «Domani (oggi, ndr) — scrive — sarò al summit del Ppe per confermare la posizione europeista, filoatlantica e di pieno sostegno all’Ucraina mia e di FI. In tutte le sedi istituzionali non è mai mancato il nostro voto a favore della libertà e contro l’invasione russa». Più o meno negli stessi momenti, dai corridoi del Senato, la neocapogruppo Licia Ronzulli definiva «criminale» la manina dei deputati «che hanno fatto uscire l’audio» con una mossa «incredibile, vergognosa, spregiudicata».La guerra che sta divorando Forza Italia dall’interno, dalla caccia al colpevole, è pronta a rispostarsi sul tavolo del totoministri. Anna Maria Bernini (fronte Tajani) era stata retrocessa dalla casella del ministero dell’Università a quella senza portafoglio della Pubblica amministrazione; Gloria Saccani Jotti, lodata in privato l’altra sera a cena da Marta Fascina, ha invece fatto il percorso contrario, da un ministero senza portafoglio alla nomination all’Università. «E manca ancora l’appuntamento alle consultazioni. Rischiamo di arrivare al Colle col cuore in gola», ragiona in serata un deputato vicino a Tajani ricordando con non poca apprensione che mancano ancora dei passaggi cruciali, a cominciare dalle consultazioni al Quirinale. Di schiarite, nel fronte azzurro, se ne vedono poche. Una di queste è quando Berlusconi decide di togliere dalla guerra per i ministeri il nome di una delle persone di cui si fida di più, Giorgio Mulè, per metterlo al riparo istituzionale di una vicepresidenza della Camera.Il dubbio sulla domanda delle domande (chi è il colpevole?) rimane. La guerra senza quartiere anche. Citando l’Amleto di Shakespeare qualcuno a Berlusconi sussurra che «c’è del metodo in questa follia». Solo che ancora, in questo gioco di specchi, non si capisce quale.

Tommaso Labate

Crisi di Antonio Polito Corriere della Sera

Ciò che sta accadendo in queste ore, una specie di crisi di governo prima ancora che il governo si formi, certifica che il vecchio centrodestra è morto da tempo, e il nuovo non è nato. La «coalizione» è stata sepolta nelle urne sotto una valanga di voti per Giorgia Meloni; mentre gli altri due partner sommati non arrivano nemmeno al risultato del pur ammaccatissimo Pd. Ogni lettura psicologica del comportamento che sta tenendo Berlusconi dice perciò solo una parte della verità. Non basta l’età, né le compagnie, né l’indole da scorpione che punge anche chi se lo sta portando sulle spalle al governo, né un residuo maschilista che lo spinge a contestare l’autorità esercitata da una giovane donna, che lui non a caso chiama con sprezzo «signora», e alla quale arriva a ricordare da dove viene il reddito del compagno; non basta tutto questo a spiegare perché, alla vigilia delle consultazioni, il Cavaliere se ne vada ancora in giro depositando trappole sulla strada della futura premier.

Influiscono, eccome, i tratti personali. Ma, come si diceva un tempo, il personale è politico. Politica è infatti la questione di fronte alla quale si trova ora Giorgia Meloni. Il Cavaliere non riesce ad accettare la morte del «suo» centrodestra. Lei deve dunque costruirne, forse perfino inventarne, uno nuovo, dando vita a una coalizione politica che oggi non c’è. E lo deve fare mentre mette su un governo. Se non le riesce, le sue speranze di durata ed efficacia si affievoliranno notevolmente. Con grave danno per l’Italia, che ha invece bisogno di un governo stabile e forte, e si è espressa nelle urne di conseguenza.

Da qui alla presentazione della lista dei ministri la leader del partito di maggioranza deve perciò risolvere due problemi. Il primo: non basta più che il suo governo sia «autorevole», come si era ripromessa di fare fin dall’inizio; ora l’asticella si è alzata, e deve dare anche prova di essere «affidabile». Perché Berlusconi, il capo del partito che esprimerà il ministro degli Esteri, si è appena dichiarato «il primo dei cinque veri amici» di Putin (chi saranno gli altri quattro? Lukashenko? Orbán? Khamenei?), considera Zelensky un poco di buono, e si rammarica che non sia riuscita l’«operazione speciale» concepita a Mosca per insediare con la forza a Kiev un «governo di persone per bene».

Così facendo il Cavaliere dissipa il capitale di credibilità europea che si era conquistato negli anni, diventando in Italia l’unico esponente del Partito Popolare. Posizione che avrebbe invece potuto dare a Forza Italia una grande rilevanza nel nuovo esecutivo, facendone un centro di gravità di fronte ad alleati che non hanno il suo pedigree internazionale.

A peggiorare le cose, non è affatto detto che anche Salvini, nel fondo del suo cuore, non la pensi come il Cavaliere. D’altra parte il neo-presidente leghista della Camera, Lorenzo Fontana, ha appena detto di considerare un «boomerang» le sanzioni che il suo Paese, insieme a tutta l’Europa, ha imposto alla Russia.

Alleanze internazionali a parte, vale la pena di ricordare ai leader della nuova maggioranza che la stabilità finanziaria, bene così prezioso in un Paese così indebitato, si garantisce anche con la credibilità politica (come abbiamo visto nei 20 mesi di Draghi: a proposito, grazie!). Se invece continuano a picconarla, aggravando i dubbi all’estero sulla nostra futura lealtà europea e atlantica, la stessa Meloni non potrebbe accettare il rischio di una crisi di sistema, che la travolgerebbe prima ancora di partire. Questo è un punto da «whatever it takes», da mantenere a qualsiasi prezzo. Anche al prezzo di non fare il governo come lei stessa ha detto ieri.

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