di Marco Ballico

Il Piccolo, 23 ottobre 2022Il magistrato: “Chi esce di prigione spesso delinque ancora: manca la riabilitazione”. In un libro del 2020, “Il perdono responsabile”, spiegò, dati alla mano, come la gran parte dei condannati a pene carcerarie torni a delinquere.Il motivo? “La maggior parte non viene riabilitata, come prescrive la Costituzione, ma semplicemente repressa, e privata di elementari diritti sanciti dalla nostra carta fondamentale; così come ne vengono privati i loro cari”. Gherardo Colombo, magistrato e giurista, protagonista di inchieste storiche, dalla P2 a Mani Pulite, ha riproposto questi ragionamenti in un corso di aggiornamento per giornalisti dal titolo “Pena, carcere, misure alternative e giustizia riparativa” cui hanno partecipato l’ex direttore del Carcere di Trieste Enrico Sbriglia, l’ex dirigente scolastico, per 30 anni nella periferia triestina, Andrea Avon, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Cristiano Degano, con la consigliera del Consiglio di disciplina Federica Badano, il presidente degli avvocati di Trieste Alessandro Cuccagna.Colombo, qual è la situazione nelle carceri oggi?“Il sovraffollamento, e la generale inadeguatezza delle strutture, oltre alle limitazioni che riguardano la cura della salute, l’igiene, l’informazione, i rapporti con i familiari fanno sì che la vita in carcere non corrisponda, nella quasi totalità dei casi, a quel che dice la nostra Costituzione, secondo la quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. La situazione non è comprensibile dall’esterno, per chi non la vive. Ed è il motivo per cui, anziché stimolare il desiderio di riabilitarsi, genera rancore e risentimento, sentimenti che spesso stanno alla base della volontà di trasgredire”.Non si può dunque nemmeno parlare di rieducazione del condannato?“Se ne sta iniziando a parlare da qualche anno, ma il sistema carcerario rimane sostanzialmente quel che era”.Per quale motivo?“Sicuramente hanno importanza le carenze di risorse, che risultano insignificanti sul fronte del trattamento rieducativo dei detenuti, ma le cause profonde sono altre. E generano anche le carenze di risorse”.Una questione solo politica o anche culturale?“Certamente politica e culturale. Ma il tema dell’esecuzione della pena riguarda anche altri aspetti, pure la filosofia. Continua a prevalere purtroppo il principio di retribuzione, vale a dire l’approccio di ripagare con il male chi ha fatto del male”.Le conseguenze?“La retribuzione comporta, per le vittime dei crimini, che si consideri un valore la vendetta, la quale come si sa non ripara, non aiuta ad uscire dalla dolorosa condizione di vittima. Al contrario, servirebbe aiutare da una parte chi ha subito il reato a sentirsi riparata dal male subito, e chi l’ha commesso a comprendere di avere agito il male e a non ripeterlo, non per paura della punizione, ma per convinzione”.L’articolo 27 della Costituzione, lì dove appunto si afferma che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, non è mai stato applicato in Italia?

“Qualcosa di diverso si è cominciato a fare qualche anno fa. Penso al carcere di Bollate a Milano, nel quale la detenzione è accompagnata dalla possibilità di lavorare e dallo svolgimento di attività culturali e ludiche marcatamente indirizzate al recupero della persona. Ma, per riuscire a intervenire in modo strutturale, ci vuole molto di più. A partire dall’incremento della detenzione domiciliare, dell’affidamento in prova ai servizi sociali, della semilibertà, dei lavori di pubblica utilità”.

Ma davvero, come lei scrive, il carcere non serve?“Il carcere serve a fare il contrario di ciò che si pensa faccia. Posto che non si possono tenere le persone in carcere tutta la vita, anziché aumentare la sicurezza dei cittadini, il sistema la diminuisce. Perché quando si esce, quasi sempre si torna a delinquere, spesso con una aumentata capacità di farlo”.Sono temi all’attenzione di chi lavora per la riforma della giustizia?“Lo sono. Nel 2015, agli Stati generale sull’esecuzione penale, ero coordinatore di un tavolo sulle sanzioni alternative al carcere. Il dibattito c’è, manca concretezza. Sia allora che dopo, i governi o non hanno esercitato la delega del Parlamento per modificare l’ordinamento penitenziario o l’hanno fatto in misura parziale.

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