Governo, novità e…fasce littorie*

di Vincenzo D’Anna*

Il nuovo governo, guidato da Giorgia Meloni, ha da poco giurato nelle mani del Capo dello Stato, incassando la fiducia del Parlamento. A guardare come è composto, non si può non scorgere qualche contraddizione. Una quindicina di ministri nominati, infatti, sono di lungo corso, ovvero personalità già presenti nei governi di centrodestra guidati, tempo addietro, da Silvio Berlusconi. Poi ci sono alcune novità per quanto concerne i dicasteri occupati da tecnici. Ancora: i titoli di alcuni ministeri sono stati innovati come, ad esempio, quello dell’Agricoltura che ha aggiunto il termine “sovranità alimentare” alla sua originaria denominazione, o quello della Scuola che da oggi si chiama anche “del merito” e, infine, quello delle infrastrutture che ha aggiunto la dicitura “della mobilità sostenibile”. Innanzi a tale stato di cose si possono fare alcune osservazioni. Cominciamo dai nomi dei ministeri modificati. Ecco allora la “mobilità sostenibile”: con un pizzico di ironia vien da pensare cosa potesse essere, invece, quella…”insostenibile”. L’istruzione ed il merito, poi, lasciano per caso intendere che ci si propone che finisca, una volta e per tutte, la scuola dell’accoglienza e della parificazione sociale? Quella, per intenderci, che allinea gli asini agli studiosi allorquando i primi risultano socialmente svantaggiati rispetto ai secondi? Se così fosse, allora c’è di che poter sognare per la fine di quella pedagogia farlocca e livellatrice che preferisce equiparare gli alunni nel sociale invece che nei saperi. Insomma, si confida in un clima che possa ridare un senso alla vera missione della scuola: quella di educare e di istruire, innalzare le cattedre e con esse l’autorevolezza dei docenti ed il rispetto che si deve loro. Come corollario a questo giusto proponimento, ci dovrà essere, però, quello di mettere alla porta mamme e papà, quando questi ultimi intendono piegare i professori alla logica gradita al bamboccione che allevano in casa. Quel pargolo a cui tutto è concesso e garantito anche se per ignoranza gli è già spuntata la coda!! Un compito che fa tremare le vene ai polsi visto l’andazzo consolidatosi negli anni sui banchi e sulle cattedre ove sono saliti, si fa per dire, insegnanti bocciati al concorso e poi recuperati dal cosiddetto “doppio binario”, ovvero per anzianità e punteggio!! Il presidente del Consiglio dovrebbe tenere sempre a mente l’informazione, eloquentissima, che nella graduatoria mondiale della pubblica istruzione l’Italia è collocata oltre il duecentesimo posto e che la sua prima Università veleggia verso il cinquantesimo. In compenso – si fa per dire – lo Stivale “primeggia” nell’indice di quei Paesi che segnalano la percentuale di studenti e cittadini che non sono in grado di comprendere il testo che hanno letto!! Una conferma di questo fenomeno viene fornita a tutti coloro i quali si cimentano sui social network ove pullulano gli asini che, con protervia, si autocelebrano specialisti e commentatori in materie che vanno di moda, dai vaccini, alla geo politica, fino al disprezzo – anche immotivato – per ogni istituzione statale, ovvero per il cosiddetto “sistema”. Passando poi alla “Sovranità alimentare” in Agricoltura, ritorniamo all’umorismo, chiedendoci, pensosi, che fine faranno l’ananas e le banane, i frutti e le verdure coltivati all’estero. E tuttavia se l’italianità è il fine ultimo da garantire salvaguardandolo dalle numerose contraffazioni di prodotti tipici nostrani, allora sì, l’idea è meritevole di apprezzamento. Occorre però dire che lo sciovinismo ed il nazionalismo intransigente non sono moderni volano per sostenere il mercato interno in un mondo che è già oltre la globalizzazione della produzione di prodotti e servizi. L’Italia, in ogni caso, resta una nazione manifatturiera che eccelle in molti campi e che tutelarla significa metterla in condizione di poter produrre a più bassi costi più che esaltare trionfalisticamente il “made in Italy”. Ecco quindi che si entra nello spinoso campo del costo del lavoro, dell’energia, del carico fiscale, delle pastoie burocratiche e sindacali, dei monopoli statali e del clientelismo politico che li presuppone: sono questi i veri fattori che affliggono la libera impresa. Insomma occorre una destra liberale e liberista (libero mercato di concorrenza), merito ed efficienza per carpire le scelte dei clienti. Non basta imporre la bandiera. Occorre riformare lo Stato e mettere mano all’aggiornamento della seconda parte della Costituzione ormai anacronistica. Occorre una mentalità nuova che non sia di facciata ma di sostanza e per fare questo bisognerà pestare i piedi ai beneficiati politici, alle imprese statali deficitarie, allo sperpero del denaro camuffata da quell’ossimoro chiamato “giustizia sociale” che turba il mercato di concorrenza ed alimenta solo il consenso elettorale. Per farla breve non servono né le fasce littorie di quelli che vengono da lontano (leggi Msi) né i reduci del berlusconismo parolaio.

*già parlamentare

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