Chi si occupa di queste cose, sa bene che alla magistratura sono stati spesso delegati gravi problemi che la politica non ha voluto o saputo affrontare o risolvere. È successo in particolare per la mafia (con una legislazione perennemente “del giorno dopo”) e per il terrorismo nero e stragista (con la sequela di tranelli e depistaggi che hanno ostacolato le indagini).
Delega ok, ma sempre con una specie di “asticella” da non oltrepassare. Perché oltrepassandola si toccano interessi che non ci stanno. E reagiscono accusando la magistratura di nefandezze assortite, dall’invasione di campo alle inchieste basate su teoremi fantasiosi.
La novità è che questo meccanismo perverso oggi ha preso piede in Parlamento. Mi riferisco alle reazioni smodate che ha suscitato l’intervento di Roberto Scarpinato nella discussione sulla fiducia al governo Meloni.
Il neo senatore ha rievocato gli attacchi criminali alla democrazia portati da una serie, lunga e organizzata, di attentati certamente riconducibili alla destra eversiva, affiancando alla narrazione obiettiva dei fatti nomi e cognomi delle persone coinvolte. Apriti cielo!
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha scagliato contro Scarpinato, con particolare foga e acrimonia, saette vibranti.
Riesumando la solita tesi, ancorché logora e stantia, del magistrato (Scarpinato lo era) che fa processi basati su teoremi inventati e non su prove.
Per caricare la dose, la premier ha calato con veemenza la carta dello scandaloso depistaggio del processo per la strage in cui morì Borsellino: ignorando che Scarpinato, come Pg di Caltanissetta, aveva fortemente contribuito a ristabilire la verità, raddrizzando le gambe a un processo storpiato da altri. E così, come usa dire, i pifferi di montagna…