*Sotto la brillantina* di Vincenzo D’Anna*
Una vecchia pubblicità, che andava in onda con Carosello, trasmissione antesignana del moderno e diabolico mondo della propaganda pubblicitaria, reclamizzava una brillantina per capelli maschili. Retaggio residuale ed un tantino nostalgico dell’epoca mussoliniana, quella in cui la chioma del maschio italiano necessitava d’essere pettinata all’indietro, piegata con una buona dose dell’untuoso e popolare ritrovato. La marca – Linetti – era pubblicizzata da un noto caratterista cinematografico, Cesare Polacco, che di capelli in testa ne possedeva veramente pochi. Lo sketch, un breve spettacolo di varietà, faceva appunto leva sulla scarsa capigliatura dell’attore. Questi, togliendosi il cappello, affermava che la sua calvizie era conseguenza del non aver usato la brillantina. Ora, non saprei dire quanti ancora oggi usino questa sostanza per impomatarsi i capelli. Credo ben pochi. Nell’epoca delle acconciature eccentriche e colorate, fa però eccezione Giuseppe Conte, leader della frangia residuale di quello che fu il Movimento Cinque Stelle. Niente più sanculotti rivoluzionari tra quelle fila: la categoria più folta è quella dei percettori del reddito di cittadinanza dislocati per lo più nel Mezzogiorno. Tuttavia restano i toni truculenti e le dichiarazioni esorbitanti, iperboli verbali, spesso tanto eufoniche quanto prive di costrutto. Insomma, la vecchia incrostazione qualunquistica ed apolitica la fa ancora da padrona e l’azzimato ed impomatato erede di Beppe Grillo e Gianroberto Casalegno, recupera di nuovo il ruolo di “avvocato del popolo”. Peccato che questo intransigente leader di un partito di intransigenti, con le tasche piene di denaro dei contribuenti che lavorano per produrre i loro redditi, sia stato per ben due volte presidente del Consiglio dei ministri e che lo sia stato, unico caso nella storia della Repubblica, con due maggioranze parlamentari di segno politico opposto ed alternativo. Per ben tre anni Conte ha portato avanti politiche assistenziali in balia dei suoi partner di destra oppure di sinistra e la silente e complice accondiscendenza dei vecchi sostenitori del “vaffa”, trasformatisi da feroci giacobini in placidi e ben pasciuti ministri di Stato. In questi giorni il leader pentastellato si sta facendo difensore del mantenimento del reddito di cittadinanza a scapito di quel 60 percento di aziende italiane che cercano lavoratori e non li trovano per varie arti e mestieri. Ma quel che più sorprende è la straordinaria difesa dei diritti e delle libertà dei singoli cittadini, ovvero di quelle prerogative che, nel corso dell’epidemia di Covid, l’allora premier ha conculcato e negato limitando tutto quello che si poteva limitare, finanche il numero dei posti a tavola dei nuclei familiari. Si dirà che quella politica liberticida fu uno stato di necessità per arginare il diffondersi di un morbo letale, che fu scelta la tutela della salute collettiva rispetto a quella dei diritti individuali. Resta il fatto, però, che molte di quelle restrizioni si rivelarono sia inutili ai fini epidemiologici, sia eccessive sul piano dei diritti e delle libertà dei cittadini. Ma quello che non si può sentire per bocca di questo immemore signore, è che le libertà ed i diritti degli italiani siano in pericolo perché il governo Meloni ha adottato un decreto per tipizzare e circoscrivere le fattispecie di reato in caso di adunanze o di ammassamento di persone in determinate circostanze quali i rave party. Insomma la minaccia della nostra libertà discenderebbe dal proibire manifestazioni non autorizzate, svolte in luoghi non idonei e spesso occupati o pericolosi, da parte di gente che in quel contesto esercita il suo singolare diritto di drogarsi, ubriacarsi e stazionare per giorni, senza alcun servizio igienico e di pronto soccorso a disposizione, muovendosi, per giunta, su vaste aeree private. Fanno eco a Conte i soliti noti, come Letta & compagni, ed è già un miracolo che non si siano lanciati appelli e sottoscrizioni nel sottobosco dei maître a penser, sindacalisti, artisti, intellettuali, sempre pronti ad immolarsi per le libertà nei salotti che contano, dopo aver piluccato pesce fresco col coltello. Il futuro è nel grembo di Dio e nessuno può sapere cosa potrà mai accadere domani, in un quadro politico e parlamentare fluido e litigioso come quello che ci si ritrova. Ma qualche previsione la si può anche azzardare per mera deduzione induttiva, per semplice logica. Se questi sono gli argomenti dai quali dovrebbero partire gli allarmi democratici, i prodromi dell’autoritarismo, non possiamo che sorridere. La vera minaccia alle libertà viene da una Costituzione che nella seconda parte, e solo in quella, è anacronistica ed inadeguata per costruire una nuova forma di Stato moderno. Peggio ancora se gli alfieri di questa bandiera si identificano in soggetti che nulla nascondono sotto la brillantina. *già parlamentare-
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