CAMPAGNA STAMPA

Boss editorialisti anti-41bis sul bimestrale dei carcerati

OBIETTIVO: LOTTA ALL’OSTATIVO – Ristretti orizzontiAumentati negli anni i mafiosi in redazione: da Avarello, che uccise Livatino, a Ganci, attentatore di Capaci.

16 NOVEMBRE 2022
Genova. Gian Marco Avarello è in carcere per sette ergastoli. Ex capo della Stidda di Canicattì, era alla guida del commando che nel 1990 uccise Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”. Agostino Lentini, detenuto a Padova, prestò la casa in cui fu tenuto il piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido a 12 anni, per impedire che il padre Santino collaborasse. Domenico Ganci faceva parte del gruppo di fuoco di Capaci. I fratelli Domenico e Antonio Papalia, capi dell’omonimo clan di ’ndrangheta di Platì, sono accusati di essere i mandanti dell’omicidio di Umberto Mormile, educatore carcerario colpevole di aver rifiutato loro una relazione favorevole. Nessuno di questi boss si è mai pentito.Tutti questi nomi hanno in comune un’altra cosa: la militanza per la rivista carceraria, Ristretti Orizzonti. Un’associazione fatta di volontari e attivisti che, va sottolineato subito, svolge da anni un’attività meritoria a favore dei diritti dei detenuti, attraverso una rivista dedicata al mondo delle carceri. La testata, legittimamente, conduce da tempo una campagna a favore dell’abolizione del carcere duro (il 41 bis) e dell’ergastolo ostativo (il regime che, per reati di mafia, impedisce il ricorso a permessi, se non in caso di pentimento). Ed è proprio su questo aspetto che ieri la Casa della Legalità, onlus diretta da Christian Abbondanza, impegnata da anni nella lotta al crimine organizzato, ha presentato un esposto alla Dia: “Attraverso Ristretti Orizzonti vengono promosse o diffuse pubblicazioni, anche scritte dagli stessi detenuti, di sistematico attacco all’ergastolo ostativo e al 41 bis”.

La contestazione degli attivisti antimafia circoscrive uno specifico arco temporale e una metamorfosi del giornale carcerario: “Fino al 2014 vi scrivevano perlopiù detenuti comuni, dopo è cambiato tutto”. I detenuti per mafia, secondo l’esposto, avrebbero monopolizzato le battaglie degli altri detenuti. Della redazione di Parma, oltre ai fratelli Papalia e Avarello, fanno parte ergastolani come Giovanni Mafrica (clan Pelle), Salvatore Fiandaca (cosca Fiandaca-Emmanuello) e Claudio Conte, boss della Sacra Corona Unita che in carcere si è laureato in legge: “Non si può comprimere la volontà di riscatto”, scrivono i redattori del carcere emiliano in un numero dedicato al carcere ostativo; nell’articolo lamentano come i permessi siano negati “a chi sta rivedendo la sua storia, riesaminando le sue scelte criminali, rendendosi disponibile a fare testimonianza della sua vita e del suo percorso in varie forme…”. E fra queste forme, sottinteso, non è contemplata la collaborazione con lo Stato. In un numero più risalente un gruppo di boss-giornalisti si rivolge al Papa: “La nostra pena è senza fine perché non abbiamo fatto i nomi dei nostri ex compagni. Negli oratori siamo stati educati al motto di ‘chi fa la spia non è figlio di Maria’ e con la figura di Giuda, che per aver tradito Gesù e averlo consegnato allo Stato romano si è impiccato. Oggi ci è chiesto di fare gli opportunisti e accusare un nostro ‘fratello in Cristo’ per non morire in carcere. Come nelle peggiori dittature. Una condizione immorale, anche per il pensiero di un ateo. Una legge che ricatta, lede la dignità, la libertà religiosa, che è applicata anche a chi si è ravveduto o all’innocente che non può dimostrare di esserlo (…) Santità, ritiene cristiana la tortura del 41 bis?”. Tra i firmatari della lettera, oltre a Lentini, Mafrica e Conte, c’è Paolo Amico un altro dei killer del giudice Livatino, mai pentito.

La onlus antimafia segnala alla Dia come in alcune redazioni i detenuti per reati mafiosi abbiano preso il sopravvento: nel penitenziario di Marassi, a Genova, quattro redattori su cinque sono in carcere per reati di mafia. Fra loro figura il boss di Lavagna Antonio Rodà. A inizio 2022 è intervenuto Domenico Pellegrino, 24 anni, rampollo dell’omonimo clan calabrese di Bordighera, condannato per l’omicidio del boss francese Joseph Fedele: “Non poter vedere mio figlio mi fa sentire senza dignità”.

Il rischio, avverte Abbondanza, “è che detenuti al 41 bis diventino un riferimento anche per i detenuti comuni, che è esattamente ciò che si propone un boss mafioso”. Nell’aprile del 2021 da Marassi uscì un appello per sbloccare la nomina del Garante per i detenuti liguri, firmato ancora una volta da redattori di Ristretti coinvolti in vicende di mafia, come Carmelo Sgrò, Giuseppe Talotta e Bruno Trunfio. La nomina del garante, ancora vacante, è stata sbloccata nei giorni scorsi grazie allo sciopero della fame del consigliere Ferruccio Sansa.

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