Cronache scolastiche. Al ministro quasi allergico ai poveri consiglio di rileggere quelle di Sciascia
DI MASSIMO NOVELLI
“Noi riteniamo si debba prevedere l’obbligo di completare il percorso scolastico per chi lo abbia illegalmente interrotto o un percorso di formazione professionale nel caso di persone con titolo di studio superiore ma non occupate né impegnate in aggiornamenti formativi, pena in entrambi i casi la perdita del reddito, o dell’eventuale misura assistenziale che dal 2024 lo sostituirà”. Cosi afferma Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito del governo Meloni: un governo che detesta i poveri.
Al ministro dall’immeritato merito si consiglia ciò che scrisse Leonardo Sciascia nelle sue Cronache scolastiche, uscite dapprima nella rivista Nuovi Argomenti del gennaio-febbraio 1955 e inserite poi in Le parrocchie di Regalpetra. Sciascia scriveva peraltro sulla base della sua esperienza di insegnante di alunni poveri, in una povera Sicilia. E i poveri sono sempre i poveri, ieri come oggi, al Nord e al Sud. “Il fatto più vero – diceva dunque Sciascia – di là dalle scolastiche valutazioni, è che non una classe di asini o di ripetenti mi tocca ogni anno, ma una classe di poveri, la parte più povera della popolazione scolastica, di una povertà stagnante e disperata. I più poveri di un paese povero. Quelli dei paesi vicini lo chiamano il paese del sale, la campagna intorno è tarlata di gallerie che inseguono il sale, il sale si ammucchia candido e splendente alla stazione, sale, nebbia e miseria; il sale sulla piaga, rossa ulcera di miseria. E io me ne sto tra questi ragazzi poveri, in questa classe degli asini che sono sempre i poveri, da secoli al banco degli asini, stralunati di fatica e di fame”.
Continuava Sciascia: “Vengono a scuola, i ragazzi, dopo che la famiglia riceve la cartolina di precettazione con citati gli articoli di legge e ricordata la multa: la posta non porta loro che di queste cartoline, per andare a scuola per il servizio di leva per il richiamo per la tassa. Spesso la cartolina non basta, il direttore trasmette gli elenchi degli inadempienti all’obbligo scolastico al maresciallo dei carabinieri; il maresciallo manda in giro l’appuntato, a minacciare galera e – io vi porto dentro – i padri si rassegnano a mandare a scuola i ragazzi”.
C’era “un maresciallo”, proseguiva lo scrittore di Racalmuto, “che questo servizio lo aveva a cuore, mandava a chiamare i padri e sbatteva in camera di sicurezza, per una notte che avrebbe portato consiglio, quelli che più resistevano. E allora a me maestro, pagato dallo Stato che paga anche il maresciallo dei carabinieri, veniva voglia di mettermi dalla parte di quelli che non volevano mandare a scuola i figli, di consigliarli a resistere, a sfuggire all’obbligo. La pubblica istruzione! Obbligatoria e gratuita, fino ai quattordici anni; come se i ragazzi cominciassero a mangiare soltanto dopo, e mangerebbero le pietre dalla fame che hanno, e d’inverno hanno le ossa piene di freddo, i piedi nell’acqua. Io parlo loro di quel che produce l’America, e loro hanno freddo, hanno fame; e io dico del Risorgimento e loro hanno fame, aspettano l’ora della refezione, giocano per ingannare il tempo, e magari pizzicando le lamette dimenticano la fatica del servizio, le scale da salire con le brocche dell’acqua, i piatti da lavare”.