1958 in agro di Castel Volturno Luigi Gravante uccise con 5 colpi di pistola il suo rivale Amerigo Di Gennaro entrambi guardiani.  La disputa per la guardiania  di un fondo del Comune  di Ferdinando Terlizzi  

Con le consuete segnalazioni urgenti i carabinieri di Castelvolturno e con rapporto del 26 ottobre del 1958 riferivano in merito ad un rovinoso alterco, avvenuto tra i guardiani privati Luigi Gravante di anni 49 ed Amerigo Di Gennaro di anni in località “Lucacchione”,  in agro di Castelvolturno avvenuto il mattino del 16 ottobre. Al termine della contesa rimase sul terreno il cadavere del Di Gennaro, mentre il Gravante dovette  farsi medicare per alcune ferite di coltello una delle quali aveva  bucato la guancia sinistra per  un morso che gli aveva asportato parte del lobo dell’orecchio destro: era stato così subito arrestato. Secondo  i carabinieri la causa del litigio era dovuto a gelosia di mestiere nella attività di guardiani che esercitavano entrambi. Nessuno era stato, però, presente all’omicidio e pertanto le versioni era contrastanti. C’era stata prima una specie di provocazione e poi un invito al duello rusticano; ma uno era armato di pistola e coltello e l’altro solo di pistola. Ma quel era il movente del delitto? Andiamo al racconto di uno dei due.  E dalle ulteriori approfondite indagini era risultato che il Gravante e il Di Gennaro erano amici, fino al giorno 15 ottobre, il giorno nel quale quest’ultimo era andato a trovare il Gravante, cui aveva portato alcuni doni ed era andato a comunicargli, però, che il sindaco di Castelvolturno lo aveva incaricato di custodire un fondo di proprietà del Comune in località “Lucacchione” contiguo ai terreni di Gaetano Coronella già  custoditi dal Di Gennaro; dal detto fondo, alcuni giorni prima, era stato sfrattato  tale Riccardo Sementini, il cui fondo era custodito dal Gravante il quale, perciò aveva esercitato la guardiana anche sull’appezzamento di terreno, che è ora affidata al Di  Gennaro. Il  Gravante aveva visto male tali comportamenti del sindaco ed aveva detto all’amico di non accettare l’incarico, e di non fargli perdere la guardia del detto terreno, ma il Di Gennaro aveva osservato che egli era salariato fisso dal Gaetano Coronella  (che aspirava a succedere nel fitto del terreno del Comune) e che perciò se  il Coronella gli  avessi dato l’ordine di estendere la custodia a detto fondo egli non avrebbe potuto  rifiutare.  E il giorno nel quale aveva ricevuta la comunicazione il Gravante nel pomeriggio si era recato da a Santa Maria la Fossa  ove risiedeva a Castelvolturno, per parlare col sindaco ragioniere Scalzone, al quale aveva detto che gli si faceva un torto, dando al Di Gennaro la guardiania del terreno affidato ad esso gravante. Il  sindaco aveva risposto di non conoscere il Di Gennaro, e di avere parlato con il Coronella  di far guardare dai suoi salariati il fondo senza aver promesso compenso ad alcuno: data la gratuità della prestazione il Gravante voleva dare anche egli uno sguardo al terreno che cosa potevo fare di accordo col guardiano del Coronella e di buon’ora il Gravante si era portato nella  zona armato di bastone  e di una pistola dopo poco ed infatti  giunse il Di Gennaro. Le versioni rese dall’imputato non erano credibili perché sia pure da lontano la scena del delitto era stata seguita da alcuni cacciatori che erano nella zona.  Già in istruttoria  l’11 luglio del 1960, il collegio difensivo di Luigi Gravante aveva obiettato – all’indomani della sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore – che “non è legittimo rinviare al giudizio della  locale Corte di assise Luigi Gravante per rispondere di omicidio volontario; lo stesso va assolto per aver agito in stato di legittima difesa. il nostro legislatore  – chiarirono inoltre  gli avvocati difensori – ha stabilito che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi  stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui, contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Luigi Gravante uccise perché costretto dalla necessità di difendere la propria incolumità personale dall’ingiusta aggressione del De Gennaro. Non vi è ragionamento che possa rendere inattendibile tale fatto. Tranne che non si voglia ammettere per certo l’assurdo. Il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato ritenendolo autore dell’aggressione ed affermando che il De Gennaro lo colpì col coltello per difendersi. È questo un modo di ragionare che non può essere atteso perché privo di ogni controllo e perché esito di un esame parziale delle risultanze processuali.  E Luigi Gravante interrogato dai carabinieri, subito dopo il fatto, quando le sue carni sanguinanti bruciavano per le gravi ferite subite e disse: “Appena avvicinatosi gli ho detto: lasciami in pace. A queste parole l’Amerigo che era in possesso di un bastone, senza pronunciare parole mi colpiva con un colpo alla testa buttandomi a terra. Ci siamo avvinghiati sviluppandosi una colluttazione durante la quale l’Amerigo, lasciava il bastone ed estraeva un coltello e mi colpiva ripetutamente al capo ed in altre parti del corpo. Vedendomi sopraffatto, poiché armato di pistola automatica la estraevo dalla cintura ed esplodevo alcuni colpi di cui non ricordo il numero, colpendo l’ Amerigo non so in quale parte del corpo”.

 

La negazione di rifiutare l’offerta del sindaco gli costò la vita – Quando nei “Mazzoni” vigeva la legge della prepotenza e della sopraffazione

 

 

In ciò è la verità non si può sostenere il contrario. Da questo interrogatorio, confermato dai successivi, si deduce che:  fu il De Gennaro ad avvicinare il Gravante; che vi fu una discussione seguita dalla colluttazione; che il De Gennaro si armò di coltello; che vedendosi in pericolo il Gravante adoperò la pistola. Il 10 ottobre del 1958 Luigi Gravante così come gli altri giorni si trovava sull’argine per espletare il proprio lavoro di guardiano ad un tratto sopraggiunse Amerigo De Gennaro che certamente dovette iniziare una discussione per la guardia del fondo di proprietà del Comune. A tale lavoro il De Gennaro era particolarmente interessato dato che il sindaco gli aveva promesso un compenso (questo si rileva dalla deposizione di Gaetano Coronella). Alle parole del De Gennaro il Gravante dovette far presente quanto appreso dal sindaco e cioè che mai alcun incarico fu a lui conferito (questo risulta dalla deposizione del sindaco Angelo Scalzone) tali parole dovettero urtare  il De Gennaro che agì con violenza contro il Gravante; a tale reazione il Gravante chiese aiuto a Gaetano Stabile ( un cacciatore che si trovava poco distante). Dopo tre o quattro minuti l’attenzione dello Stabile e fu attirata da due colpi di pistola e potette notare il Gravante e il De Gennaro che si azzuffavano attaccati l’uno all’altro. Indubbiamente durante i tre o quattro minuti intercorsi tra l’invocazione di aiuto del Gravante e gli spari quest’ultimo dovette subire l’aggressione armata dal De  Gennaro e solo quando si vide costretto dovette sparare. La prova che il Gravante sparò solo quando si vide costretto e nelle lesioni da lui riportate alla mano destra e cioè alle falangetta del dito indice, alle falangetta  del dito medio, ed in quelle che il De Gennaro riportò alla pinna nasale destra, alla regione sottorbitaria e dall’arcata orbitale esterna sinistra. Invero il De Gennaro riportò anche queste lesioni che dovettero precedere quelle prodotte dai colpi di pistola, significa che in un primo tempo il Gravante si difese con le mani e solo in extremis ricorse alla pistola. Se così non fosse non avrebbe riportato le lesioni alla mano destra. Infatti se il Gravante avesse avuto in pugno la pistola non avrebbe potuto riportare tali lesioni. Se le subì, fu perché precedettero l’uso dell’arma da fuoco. I colpi furono sparati senza una mira precisa e da contatto. Invero le direzioni furono molteplici. Ciò significa che non furono sparati da un’unica posizione, come può accadere per chi offende, ma da parti diverse. E ciò succede solo a colui che è costretto a difendersi da un’aggressione che non dà tregua. Anche l’atteggiamento del Gravante successivo al delitto ci dà la prova che la sua fu un’azione legittima. Ma quali lesioni subì il D Gennaro? Questo risulta dalla deposizione di Giovanni Graziano. Al brigadiere Vincenzo Ruggeri che domandò il perché dell’accaduto disse di aver sparato per difendersi; questo risulta anche dalla deposizione  di Antonio Beffardi e di Giuseppe Conte).  Non è questa è un’ulteriore conferma della legittima difesa?  Colui che è armato di pistola e vuole uccidere non lascia avvicinare l’avversario; non ci lascia ferire; spara senza esitazioni e con mira precisa. Nel caso di specie si è verificato tutto l’opposto. Questo è il fatto. Siamo certi  – conclusero gli avvocati difensori  – che l’illustre magistrato al quale abbiamo avuto l’onore di sottoporre queste nostre brevi osservazioni dichiarerà Luigi Gravante non punibile per aver agito in stato di legittima difesa. Solo così, anche per questa tragedia, sarà fatta giustizia.  L’assassino aveva raccontato che in quel frangente era stato salutato dal Di Gennaro ma gli aveva risposto: lasciami in pace al che l’altro lo aveva improvvisamente a colpirlo con un bastone. In un secondo interrogatorio, invece aveva fatto presente che egli aveva contestato al Di Gennaro che il sindaco non gli aveva dato direttamente alcun incarico e l’altro per risposta lo aveva  subito aggredito col bastone e poi si erano così afferrati. Il Gravante a questo punto aveva estratto una pistola ed aveva sparato 4 cinque colpi solo per spaventare l’avversario. Questa versione dei fatti però fu smentita da un cacciatore,  Gennaro Stabile che era stato testimone oculare. Infatti lo Stabile – che stava cacciando nella zona vide il Gravante sull’argine del fiume ( poco prima aveva scambiato con lo stesso alcune frasi) e poi successivamente – dopo una decina di minuti  – discutere con una certa animazione con il Di Gennaro e subito dopo azzuffarsi.  Successivamente avevo sentito altri colpi di pistola ed infine aveva visto  i due ruzzolare lungo la scarpata dell’argine del fiume scomparendo entrambi alla sua vista. Aveva poi sentito altri colpi di pistola ed infine aveva visto un uomo scappare verso Castelvolturno che si fermava ogni tanto guardando indietro.  Dal primo sopralluogo effettuato dai carabinieri sulla scena del crimine vennero inventariati: un caricatore per pistola, vuoto, un coltello a serramanico con punta non acuminata, sei bossoli di pistola, due bastoni, un berretto, una scatola di cerini, la parte del lobo auricolare mancante al Gravante. L’autopsia eseguita sul cadavere del Di Gennaro veniva accertato che costui  era stato attinto da sei proiettili di pistola e che due dei colpi erano stati sparati a bruciapelo nella zona toracica. Il cadavere presentava ancora varie escoriazioni ed una lesione da taglio al palmo della mano destra. Al Gravante venivano riscontrate oltre l’esportazione del pezzo del lobo dell’orecchio destro, una ferita da taglio alla guancia destra, due altre ferite analoghe alla regione temporale sinistra, escoriazioni al naso, all’addome, alla regione sternale guaribili nel ventisei giorno.  Veniva quindi promossa azione penale e nel contempo emesso mandato di cattura nei confronti del Gravante accusato di omicidio volontario. Lo stesso nel primo interrogatorio assumeva di avere sparato per legittima difesa perché era stato aggredito e più volte ferito con il coltello ma che aveva sparato senza volontà di uccidere.  Il giudice istruttore ordinava il rinvio di Luigi Gravante innanzi la Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere per rispondere di omicidio volontario. In dibattimento il Gravante confermava di essere stato aggredito dal Di Gennaro e di essere stato colpito con più coltellate alla testa e alla pancia ed allora lui aveva impugnato la pistola per difesa personale ed aveva sparato senza una mira precisa. La difesa sostenne – in ordine gradata – l’esimente della legittima difesa, l’eccesso colposo di legittima difesa, l’attenuante della provocazione, e quella generica ed in ogni caso il minimo della pena.

 

I processi – La difesa sostenne – in ordine gradata – l’esimente della legittima difesa, l’eccesso colposo di legittima difesa, l’attenuante della provocazione, e quella generica ed in ogni caso il minimo della pena. La condanna fu a 18 anni di reclusione –

Gli avvocati difensori insistettero nella tesi della legittima difesa. Tesi,  che come poi si vedrà,  non fu accolta né nel primo verdetto della Corte di assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere né della Corte di assise di Appello di Napoli. Proiettarono tutte le loro speranze nella Suprema Corte di Cassazione. Nei loro motivi affermarono tra l’altro che “vi era stato un diretto contraddittorio nella motivazione in ordine alla richiesta esimente della legittima difesa e in subordine chiesero ancora una volta l’eccesso colposo di legittima difesa. La motivazione della sentenza della Corte di assise di Appello in relazione all’invocata esimente della legittima difesa è carente di ragionamento logico in relazione alla accertate circostanze di fatto e di contraddittorietà relativamente alle stesse premesse di fatto contenuto nella sentenza”. “Il quadro che presentava sulla sua persona – precisarono ancora i difensori –  il Gravante al termine della lite doveva essere tenuto presente, ciò che non è stato fatto dalla Corte di assise di Appello per due ragioni: primo, esso nella sua gravità dimostrava chiaramente quali erano le condizioni fisiche del Gravante nel momento che fu costretto a chiudere la lite esplodendo i colpi mortali al De Gennaro; secondo, perché occorreva un analitico esame di ciascuna ferita per ricostruire, come dalle orme sul terreno, il “cammino” della violenza del De Gennaro sulla persona del Gravante.

La Corte di assise di Appello, invece si dibatte sulla contraddizione fra un omicidio al quale è costretto a riconoscere il carattere improvviso e spontaneo e, per negare la legittima difesa, una preordinazione, inesistente assolutamente sia dal punto di vista materiale (preparazione dei mezzi) sia dal punto di vista psicologico (rancore e seta di vendetta). È che la sentenza ha tralasciato di motivare due importanti istanze: a (che il De Gennaro era salariato fisso e che il compenso mensili rimasto immutato dopo lo sfratto di Bernardo Sementini e che invece il Di Gennaro Daniela invece aveva tutto l’interesse alla guardia del fondo giacché il suo datore di lavoro gli aveva promesso un compenso. E non basta! Perché, a parte quanto la difesa aveva denunciato cioè dagli atti processuali  spariva la manovra messa in atto dal Coronella per impadronirsi del fondo resosi libero dello sfratto cominciando col mettere sul posto il suo uomo di fiducia e cioè il De Gennaro, inoltre la Corte di assise di Appello non motiva sufficientemente il vero  motivo della lite. La Corte infatti si perde in affermazioni sul carattere del Gravante, sulle usanze e sulla criminosità della agente di quella zona,  dimenticando che il Gravante  pure nel difficile mestiere di guardiano di fondi è pressoché  incensurato fino al giorno prima del delitto finchè il Di Gennaro non gli  andò a comunicare che il sindaco gli aveva tolto la guardiania per affidarla al Di Gennaro, il Gravante non ebbe alcuna reazione violenta limitandosi a manifestare quantomeno alla  sorpresa. Tratto a giudizio innanzi la  Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Prisco Palmieri, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Vittorio Ferone, pubblico ministero) per rispondere di omicidio, con sentenza del  23 settembre del 1960, venne condannato, con la concessione delle attenuanti generiche  ad anni 18 di reclusione. La Corte di assise di Appello di Napoli (Mario Marmo, presidente; Domenico Leone, consigliere; Roberto Angelone, pubblico ministero, Sostituto Procuratore Generale della Repubblica) con sentenza del 5 ottobre del 1964 confermò il verdetto id primo grado.  La Corte di Cassazione il 5 luglio del 1975 confermò la sentenza. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Nicola Cariota Ferrara, Alfredo De Marsico, Nicola Foschini, Ciro Maffuccini, Carlo Cipullo e Ettore Botti.