L’INTERVISTA
Cafiero De Raho: “Nessuno tocchi il 41-bis. Donzelli svela atti segreti”
DEPUTATO DEL M5S – L’ex procuratore nazionale Antimafia-antiterrorismo: “Le note citate non sono divulgabili. Quell’articolo serve a non far uscire ‘indicazioni’ dal carcere”
DI GIANNI BARBACETTO
1 FEBBRAIO 2023
Giornata infuocata quella di ieri alla Camera, dove si è discusso delle affermazioni di Giovanni Donzelli, esponente di FdI, sulle visite in carcere dei parlamentari Pd all’anarchico Alfredo Cospito. Infuocata anche per Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale Antimafia-antiterrorismo e oggi deputato del Movimento 5 stelle.
Come giudica le affermazioni di Donzelli?
Gravissime: accusare parlamentari dello schieramento avverso di collusioni o contiguità con il terrorismo o la mafia, solo per aver fatto visita a un detenuto, è un fatto gravissimo. Non credo che ci siano precedenti. È violare l’essenza stessa della democrazia, perché è un diritto e un dovere dei parlamentari verificare le condizioni di salute dei detenuti.
Donzelli ha scagliato contro i parlamentari del Pd alcune informazioni provenienti dal carcere in cui Cospito parlava contro il 41-bis con un mafioso.
Ignoro quale sia la fonte. Suppongo che provengano da una delle informative che gli istituti di pena mandano al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, al procuratore nazionale antimafia-antiterrorismo e al procuratore distrettuale competente per territorio. Sono note riservatissime, che non possono essere diffuse. Dunque la rivelazione è una violazione di una gravità assoluta.
Non le sembra che ci siano nell’aria manovre contro il carcere duro, stabilito dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario?
La disciplina speciale del 41-bis è un meccanismo di prevenzione e contrasto alla mafia e al terrorismo per impedire ai detenuti che ricoprono ruoli nelle organizzazioni mafiose e terroriste di continuare ad avere collegamenti con le loro organizzazioni all’esterno. È un pilastro per difendere il nostro Paese dalle mafie e dal terrorismo. È uno strumento straordinario, utilizzato fino al 1991 nei confronti di detenuti terroristi per mantenere la sicurezza dentro le carceri, e dal 1991-92 usato soprattutto per contrastare le organizzazioni mafiose. Su questo strumento spero davvero che non ci sia discussione, che ci sia unanimità dentro il Parlamento.
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Il dibattito è stato scatenato dal caso di un detenuto in gravi condizioni di salute per via dello sciopero della fame.
Se il problema è determinato dalle condizioni di salute che non permettono a un detenuto di restare nelle aree destinate al 41-bis, può essere risolto con il suo trasferimento in un’area dove possano essere garantite le cure che la Costituzione garantisce a tutti. Ma le stesse condizioni di salute non possono intervenire a far saltare il meccanismo di prevenzione e sicurezza per il nostro Paese.
Ha senso detenere al 41-bis uno come Cospito, che non appartiene a una organizzazione piramidale e gerarchica, ma fluida e, appunto, “anarchica”?
La gerarchia conta poco, ciò che conta è chi dà indicazioni, input per nuove azioni criminali dentro organizzazioni anche rudimentali, o anarchiche. D’altro canto, non conta tanto il ruolo direttivo, ma l’esigenza d’interrompere i collegamenti con l’esterno di un soggetto che ha comunque dimostrato capacità di dare indicazioni a chi sta fuori.
Non le pare che l’attacco al 41-bis da parte di alcuni boss mafiosi in carcere possa oggi trovare sponde fuori, nella politica? Quella stessa politica che riduce le possibilità di fare intercettazioni, che attacca l’ergastolo ostativo, che toglie ai magistrati strumenti d’indagine?
Dobbiamo distinguere il 41-bis, cioè la detenzione speciale, dall’ergastolo ostativo, regolato dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Anche negli interventi in Parlamento, nessuno ha parlato contro il 41-bis: vedo una convergenza di tutte le parti politiche. Sull’ergastolo ostativo, invece, il Movimento 5 Stelle ha idee diverse dalla maggioranza di governo. Per noi anche i reati contro la Pubblica amministrazione, come la corruzione, vanno inseriti tra quelli che bloccano i benefici carcerari. Per ottenerli, è necessaria la collaborazione con la giustizia, o almeno la dichiarazione delle ragioni che la rendono impossibile; e il disvelamento delle disponibilità patrimoniali e finanziarie. Non basta la “revisione critica”, è necessario il “ravvedimento”.
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