Pulci di notte

di Stefano Lorenzetto

«Il fronte della giustizia, scelto come simbolico da tutte le destre che si sono avvicendate al governo, moderate o radicali, rischia così di diventare la prima vera pietra d’inciampo di Giorgia Meloni», scrive Ezio Mauro sulla Repubblica, quotidiano che ha diretto dal 1996 al 2016. Esemplificazione davvero infelice, oltreché errata. Pietra d’inciampo, secondo Lo Zingarelli 2023, è la «targa commemorativa in ottone incorporata nella pavimentazione stradale di una città, posta davanti all’abitazione di una vittima delle deportazioni nei campi di concentramento nazisti per rinnovarne la memoria». Le pietre d’inciampo, dal tedesco Stolpersteine, sono state inventate nel 1996 dall’artista berlinese Gunter Demnig. Sono piccoli blocchi piantati nel selciato, ricoperti sulla faccia superiore dalla piastra di ottone che reca le generalità delle vittime del Terzo Reich. Sono state collocate finora in una trentina di Paesi. Fra l’altro, la denominazione Stolpersteine è stata registrata da Demnig presso l’Ufficio tedesco brevetti e marchi dal 2006 e a livello europeo dal 2013. Pertanto Mauro ha usato impropriamente un marchio protetto.

Angelo Panebianco nell’editoriale di prima pagina sul Corriere della Sera: «Proprio pensando ai cittadini ucraini, combattenti e non». Tu quoque, professore! No e non sono avverbi di negazione che hanno usi nettamente distinti. L’avverbio negativo olofrastico (detto così perché, da solo, costituisce un’intera frase) in italiano è soltanto no, come si evince anche dal titolo del romanzo Uomini e no di Elio Vittorini. Ecco che cosa scriveva in proposito Aldo Gabrielli nel suo Dizionario linguistico moderno (Edizioni Scolastiche Mondadori), pubblicato nel 1956: «Sbagliano perciò quelli (e non son pochi) i quali dicono, per esempio: “Che tu mi creda o non, poco mi interessa”, “Torni a casa o non?”, “Verrai o non a teatro?”, “Usato o non, il libro bisogna pagarlo”, e simili. In tutti questi casi si deve usare la forma tonica o no: “Che tu mi creda o no…”, “Torni a casa o no?”, “Sai dirmi quando si deve usare o no l’articolo determinativo?”, eccetera».

Riferendosi al boss mafioso Matteo Messina Denaro nella rubrica Parliamone con… sul settimanale Chi, Maurizio Costanzo osserva: «Mi ha stupito non vederlo con le manette ai polsi, sono sincero». L’illustre collega è un po’ in arretrato con l’aggiornamento professionale, obbligatorio per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Infatti le «Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica» (Gazzetta Ufficiale, 4 gennaio 2019) al comma 3 dell’articolo 8, «Tutela della dignità delle persone», stabiliscono che le persone medesime «non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi».

Incipit dell’editoriale di Pietro Senaldi, condirettore di Libero, in prima pagina: «Sottosegretario Durigon, domenica e lunedì prossimi si vota in Lazio per eleggere il successore del presidente della Regione, il piddino Zingaretti e lei, in piena campagna elettorale, è finito nel mirino per l’acquisto della sua abitazione». Quindi il presidente della Regione Lazio sono due, Nicola Zingaretti e Claudio Durigon? No? Allora occorreva una virgola dopo «Zingaretti», magari un punto e virgola. Inoltre, messa così, sembra che Durigon abbia acquistato la casa di Zingaretti.

Il Messaggero pubblica una foto dei familiari di Hasib Omerovic, precipitato il 25 luglio scorso da una finestra a Primavalle, dopo un blitz della polizia. La didascalia recita: «La famiglia del 36enne in Campidoglio il 22 settembre scorso con le t-shirt con scritto “Giustizia per Hasib”». Nell’immagine i quattro congiunti indossano magliette con la scritta «Verità per Hasib!». A che servono le didascalie se al Messaggero non sanno leggere?

Sul Corriere della Sera, Monica Colombo intervista Martina Colombari e Alessandro Costacurta, insieme da 27 anni. Domanda: «La più bella d’Italia ha un difetto?». Risposta di Costacurta: «Ha la mania di voler avere sotto controllo tutto ciò che gli gravita attorno». Il gender dilaga.

Dall’Osservatore Romano: «Con l’arrivo, nel pomeriggio di ieri, venerdì 3 febbraio, all’aeroporto di Giuba, ha avuto inizio la seconda tappa del viaggio di Papa Francesco in Africa. Dallo scalo internazionale il Pontefice si è recato in automobile al Palazzo presidenziale nella capitale del Sud Sudan, per la visita di cortesia al capo dello Stato». Il cronista informa che alla visita hanno partecipato «l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields». E specifica: «Dopo aver incontrato in privato nel suo studio il presidente della Repubblica, il vescovo di Roma ha raggiunto la “Board Room” per salutare i cinque vice presidenti Riek Machar Teny Dhurgo, James Wani Igga, Taban Deng Gai, Rebecca Nyandeng Garang De Mabior e Hussein Abdelbagi». Infine rileva che «il primo appuntamento pubblico nel Paese» è stato «scandito dai discorsi del capo dello Stato, dell’arcivescovo Welby, del pastore Greenshields e di Francesco». Sì, vabbè, ma come si chiamerà il presidente della Repubblica del Sud Sudan? L’Osservatore Romano non lo dice. «Visita di cortesia» mica tanto.

«Brindisi: bimbo di un anno e mezzo ingerisce un tappo e muore soffocato», titola il sito della Stampa. Impossibile. Ingerire significa mandare giù nello stomaco. Se il tappo fosse finito nello stomaco (altamente improbabile), il piccino non sarebbe morto soffocato. Il testo conferma: «L’oggetto si sarebbe incastrato nella trachea, ostruendo le vie respiratorie».

Dal sito del Fatto Quotidiano: «Ha tirato un pugno sul muso di un cammello e l’animale, che non aveva fatto nulla per meritarselo, ha reagito e l’ha ucciso a morte». Cronista bollato a vita.

Dalla pagina Facebook della Gazzetta di Parma: «Modena, è morta la ragazza di 17 anni investita da un calciatore alla guida di un Suv sulle strisce pedonali». Quindi il calciatore faceva avanti e indré con l’auto sulle zebrature stradali?

Stando al Clamoroso che apre Anteprima, «Il Principe di Machiavelli è composto di 28.500 parole». Per l’esattezza sono 27.885, cioè 615 in meno.

SL

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