• Ferdinando Terlizzi
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Marco TravaglioDirettore del
Fatto Quotidiano

Il dito e la luna

7 FEBBRAIO 2023

Il sondaggio di Alessandra Ghisleri per la Stampa conferma ciò che pensavamo del caso Cospito: gli italiani giudicano più severamente la linea del Pd contro il 41-bis al terrorista che le fughe di notizie del duo Donzelli-Delmastro. Spetterà alla magistratura accertare se il sottosegretario e il deputato FdI abbiano commesso reati, mentre è giusto visitare detenuti al 41-bis ed è lecito chiederne la revoca per tizio o caio (sempreché il Pd l’abbia chiesta, visto che lancia il sasso e poi ritira la mano). Ma che sulla visita del 12 gennaio al carcere di Sassari la delegazione Pd non la contasse giusta era una sensazione diffusa, a giudicare dai suoi balbettii, ammissioni a rate e contraddizioni. Ora la relazione del Gom (polizia penitenziaria), giustamente pubblicata dai media (altro che segreto), purtroppo lo conferma. Verini, con notevole ritardo, aveva ammesso un “saluto” ai tre boss vicini di cella di Cospito, dopo che questo aveva detto a lui, Lai, Orlando e Serracchiani: “Io non ho niente da dire se prima non parlate con gli altri detenuti”. Ma dalla relazione si scopre che fu ben più di un saluto.

Il casalese Francesco Di Maio disse all’ex ministro della Giustizia Orlando: “Ora siamo inguaiati”. Frase che il Gom interpreta così: “Probabilmente intendeva dire che prima, nel periodo in cui Orlando era ministro, si stava meglio, mentre ora si sta peggio”. Ma il “saluto” fu in realtà una conversazione di diversi minuti, proprio sul 41-bis: “Di Maio riferiva alla delegazione che il regime del 41 bis equivale alla condanna a morte in quanto non c’è la possibilità di difendersi, essendo giudicati dal Tribunale di Sorveglianza di Roma e non da quello del posto ove si è detenuti, che a suo dire conosce i detenuti… L’unico modo per uscire dal 41 bis è collaborare con la giustizia, ma lui non ha più nulla da dire e quindi non può collaborare” perché, dice Di Maio, il suo clan non esiste più. Parole che, unite a quelle scambiate fra Cospito e Di Maio nell’ora d’aria e svelate da Donzelli alla Camera (“Deve essere una lotta contro il regime, noi al 41-bis siamo tutti uguali”, “Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato”), fanno sospettare una strategia per scardinare il 41-bis. Che ha usato anche la visita del quartetto Pd. A quel punto, i parlamentari si spostano davanti alle celle dei mafiosi siciliani Pino Cammarata e Pietro Rampulla (l’artificiere neofascista di Capaci). Cammarata lamenta le “motivazioni fotocopia” per i rinnovi del 41-bis e la penuria di cure e visite esterne. Rampulla dice solo di essere al carcere duro da 30 anni. Domanda, forse ingenua o forse no: perché i quattro dem non dissero subito cos’era successo, ma hanno atteso le fughe di notizie di Donzelli e Delmastro per svelare i saluti ai mafiosi che saluti non erano?