Riflessioni serali a confronto con Nino Esposito dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, estimatore del Pensiero di Antonio Genovesi, Abate Salernitano, Fondatore della Cattedra di Economia Civile dell’Ateneo Partenopeo istituito nel 1224.

Roma, 5 aprile – (di Innocenzo Orlando) –  Secondo Alfred Marshall, l’economista inglese di cui John Maynard Keynes fu allievo: “ogni frase breve sull’economia è intrinsecamente falsa”. L’affermazione evidenzia la complessità delle interazioni a livello economico che non possono essere ridotte a poche ricette, ma devono cercare di considerare lo spettro dei possibili problemi. Forse si dovrebbe tenere a mente questa affermazione quando ci si interroga sulle prospettive della politica monetaria europea e in particolare sulla questione dell’aumento dei tassi di interesse. Le critiche mosse alla Banca Centrale Europea e alle politiche monetarie restrittive hanno riguardato soprattutto due aspetti sostanzialmente connessi alla volontà di combattere l’inflazione. Il primo è che la natura dell’inflazione europea è sostanzialmente dovuta a un incremento dei costi delle materie prime e non a un surriscaldamento dell’economia per eccesso di domanda come avviene negli Stati Uniti e che quindi gli effetti recessivi di questa scelta potrebbero essere più gravi.
Il secondo riguarda il comportamento oscillante in termini della cosiddetta forward guidance cioè l’annuncio di un profilo coerente di comportamento sull’andamento dei tassi di interesse per assicurare la stabilità dei prezzi che quindi non consente di modificare in manera strutturale le aspettative degli operatori.In effetti si tratta di argomenti che hanno un loro fondamento. Ma soprattutto il primo non tiene conto che il mantenimento della stabilità dei prezzi è funzionale al mantenimento della stabilità della moneta: ciò è quanto dichiara la stessa BCE quando afferma che: “Il principale obiettivo dell’Eurosistema è mantenere la stabilità dei prezzi, ossia salvaguardare il valore dell’euro”.

La stabilità della moneta non è minata solo da un incremento dei prezzi, ossia dall’inflazione, ma anche dai movimenti di capitale, ossia dagli spostamenti tra i diversi paesi di fondi in cerca del migliore rendimento. Quando il tasso di interesse europeo è inferiore a quello di un’altra economia, soprattutto se per effetto delle condizioni economiche di questa seconda economia si prevede un apprezzamento del suo tasso di cambio, assistiamo a una fuoriuscita di capitali. In genere le tendenze a lungo termine dei tassi di cambio riflettono differenze persistenti tanto nella crescita economica che nei rendimenti del capitale.
Il confronto si pone specificamente con gli Stati Uniti ossia con un paese che negli ultimi anni ha registrato, in termini di performance economica, andamenti decisamente migliori di quelli medi europei, che incidono sulle aspettative di un apprezzamento futuro del cambio dollaro-euro. I differenziali dei tassi di interesse hanno favorito il dollaro. Dopo la crisi del 2008 le banche centrali europea e giapponese hanno portato i tassi e i rendimenti obbligazionari in territorio negativo, la Federal Reserve statunitense li ha ridotti drasticamente, aumentandoli poi altrettanto repentinamente negli ultimi mesi per combattere l’inflazione americana.
Federico Caffè, autorevole economista, sosteneva che: “la politica economica è quella parte della scienza economica che usa le conoscenze dell’analisi teorica come guida per l’azione pratica”.Questo vale anche per la politica monetaria. Il tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro dipende dal tasso di interesse europeo, da quello statunitense e dal tasso di cambio atteso.

Se il tasso d’interesse dell’eurozona rimane fermo e quello statunitense aumenta (a parità di aspettative sui cambi futuri) ne consegue una svalutazione della moneta europea e una minore attrattività dei titoli europei.Il solo Programma Next GenerationEU, quello per intenderci dove sono finanziati i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, prevede una emissione di eurobond di 800 miliardi di Euro entro il 2026. Si tratta di emissioni importanti e delle quali occorre salvaguardare il più possibile l’attrattività per gli investitori internazionali.Ecco perché anche da questo punto di vista, in termini di “guida per l’azione pratica”, la Banca Centrale Europea non può evitare di “inseguire” la FED statunitense nella corsa al rialzo dei tassi di interesse. L’aumento dei tassi serve non solo a lanciare segnali per il riassorbimento dell’inflazione in Europa, ma anche per salvaguardare il valore dell’euro, evitando speculazioni sul mercato dei capitali che finirebbero per indebolire la moneta comune.

Siamo quindi condannati comunque a un aumento dei tassi anche in presenza di una inflazione flettente? Non è detto e paradossalmente una specie di aiuto può venire dalla vicenda della Silicon Valley Bank, che ha dovuto dichiarare default perché i continui aumenti dei tassi di interesse da parte della FED avevano avuto come effetto la svalutazione delle obbligazioni pubbliche acquistate dalla banca negli anni, riducendone il valore corrente. Ciò sta inducendo cautela nella politica monetaria restrittiva, anche per questioni di stabilità finanziaria.

Una stabilizzazione degli aumenti dei tassi da parte della Banca centrale statunitense potrebbe indurre una minore rincorsa da parte della BCE a questo riguardo, rafforzando la posizione di quanti nel Board della BCE sono per una posizione più accomodante nella gestione della politica monetaria di breve termine. A questo punto l’economia reale ringrazierebbe.