PIETRE&POPOLO
Salviamo gli edifici storici dalla “ricostruzione” sismica
I TERREMOTI NEL CENTRO ITALIA – Nel solo Maceratese verranno abbattuti più di trecento edifici, tutti precedenti al XIX secolo, un numero più alto di quelli crollati nelle scosse del 2016
10 LUGLIO 2023
Provo a spiegarlo. Questa “riforma” non è che l’estensione (e dunque l’aggravamento) della pessima riforma Franceschini, che quasi tutti i giornali lodarono quando fu varata (nel 2014), e continuano a magnificare ora. Lo facevano perché quella riforma era una perfetta espressione dello spirito dei tempi, che forse non esiste eppure fa moltissimi danni. Lo spirito che dice che i musei devono rendere quattrini perché sono un bene economico, prima che culturale. E che dunque è la valorizzazione l’unica politica necessaria. Così avvenne: i musei furono sfilati alle soprintendenze, resi autonomi sul piano del bilancio e schiavi del potere politico. Nessuno è divenuto una vera comunità scientifica capace di fare ricerca e aumentare e condividere la conoscenza, moltissimi si sono ridotti a tristi luna park di intrattenimento idiota.
I musei di serie A, così conciati, sono diventati la good company del patrimonio italiano, mentre il territorio e i musei considerati di serie B, abbandonati a soprintendenze e direzioni regionali esangui di soldi e di personale, sono stati degradati a bad company (la definizione, perfetta, è di Salvatore Settis).
Ed è proprio per questo che io mi rifiuto di commentare l’ennesima edizione della riforma Franceschini (così culturalmente egemone da tirarsi dietro anche questo governo, sulla carta lontanissimo), e dico che il suo più appropriato commento è ciò che accade nel territorio del cratere del terremoto del 2016. “Nelle aree del Cratere – ha scritto Salvati – verranno abbattuti più di trecento edifici, un numero che sembra più alto di quelli fatti crollare dalle quattro scosse sismiche del 2016 nei comuni di Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Pieve Torina, Camerino, Muccia”. Parliamo di edifici che erano tutti esistenti prima dell’inizio dell’Ottocento, che nessuna norma tutela e che non essendo monumenti specificamente protetti, sono considerati sacrificabili nel quadro di una ricostruzione post-sismica. Ma è il corpo stesso del nostro Paese che stiamo massacrando: proprio come se pensassimo di salvare, in un corpo umano, solo gli organi vitali. “Siamo di fronte – continua Salvati – a un’aberrante situazione creata dalla insensibilità delle amministrazioni locali con la colpevole responsabilità della figura egemone della ricostruzione, il commissario straordinario, dei “suoi” vice, dei “suoi” sub commissari e dei “suoi” uffici speciali regionali. Tutti concordi, all’unisono, nella strategia di sterminio pianificato del tessuto edilizio minuto, derivante dalla mancanza di un cosciente profilo conservativo della fase della ricostruzione. … A differenza delle demolizioni/sventramenti del secolo scorso, che erano generati da ragioni politiche in una prima fase e da ragioni economiche nel dopoguerra, quelle attuali della ricostruzione post-sismica 2016 sono generate da ignoranza, impreparazione, mancanza di consapevolezza, incapacità tecnico-professionale, in sintesi mancanza di cultura. È una ricostruzione senza coscienza civica, guidata da idee banali e semplicistiche applicate in modo massimalista da uffici privi di spessore che ignorano il percorso storico della tutela del patrimonio culturale. Si tratta di un regresso della cultura urbanistica e di quella della conservazione inimmaginabile, che apre scenari catastrofici per i territori colpiti dal terremoto, ma anche per la cultura del recupero».
Ebbene, di fronte a tutto questo e di fronte al colpevole silenzio di giornali, università, soprintendenze, che volete che importi se un altro gruppo di musei diventa autonomo, o che alcuni siano passati dalla serie B alla serie A? Sia detto con un amore struggente per i musei: non è lì che oggi abita il “patrimonio storico e artistico della nazione” (art. 9 Cost.). Esso si trova invece in quelle umili case marchigiane che i nostri figli non vedranno a causa della nostra insensibilità, e della nostra fede in un unico dio, il denaro. Salvare gli edifici storici delle Marche significherebbe avere a cuore il nesso tra le cose e le persone, tra la città di pietra e quella dei viventi: aver capito, cioè, che il patrimonio è vivo e prezioso solo se ci rende più umani.
Se non riusciamo più a farlo, è anche perché, al contrario, siamo tutti sedotti dalla ‘bellezza’ autoreferenziale e asettica delle “cose” che “valorizziamo” in questi musei senz’anima, macchine da soldi e da consenso risucchiate in questo nerissimo stato delle cose.
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