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LE GESTA DEI BRIGANTI NELLE NOSTRE CONTRADE – (1 – Continua )
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COMPLICITÀ IN TENTATA FORMAZIONE DI BANDA ARMATA IN PONZA
Il 29 luglio 1861 approdava in Ponza un’imbarcazione, di proprietà di tale Angelo Tobia di Salvo di Napoli, con cinque marinai a bordo che avevano il compito di recapitare al camorrista Salvatore di Crescenzo, ivi relegato, una lettera, proveniente da Roma, di autore ignoto con la quale si ingiungeva al detto di Crescenzo di raccogliere uomini pronti ad abbracciare la causa di Francesco II. Arrestati dal comandante dell’isola, detti marinai venivano processati e rinviati a giudizio con l’imputazione di complicità nell’attentato per distruggere la forma di governo e tentata formazione di banda armata. (1)
Riconosciuto colpevole il solo di Salvo, la Corte di Assise di S. Maria C.V., conformemente al verdetto dei giurati, lo condannava ad anni quattro di carcere per il reato di complicità in tentata formazione di banda armata col fine di cambiare e distruggere la forma di governo. Con successiva sentenza il di Salvo veniva ammesso alla sovrana indulgenza del 17 novembre 1863.
PROGETTO DI COSPIRAZIONE MERCE’ ARRUOLAMENTO IN AVERSA.
Progetto di cospirazione tendente a cambiare la forma di governo per aver proposto a cinque persone di riunire una quarantina di persone per far gridare “Viva il Re Francesco II” e di aggregarsi successivamente in località Ponti della Valle alla comitiva ivi esistente.
Il 10 maggio 1861 Luigi Iannucci di Aversa veniva arrestato accusato di tentato arruolamento di circa quaranta persone in banda armata per cambiare e distruggere la forma di governo. La Corte di Assise di S. Maria C.V., visto il verdetto dei giurati col quale si dichiarava non essere Luigi Iannucci colpevole del reato di tentato arruolamento in banda armata per cambiare la forma di governo, bensì colpevole del reato di voci tendenti ad eccitare il malcontento ed il disprezzo contro il governo, con sentenza del 24 luglio 1862 condannava il predetto Iannucci ad un anno di carcere da computarsi dalla data del suo arresto.
VOLONTARIA ASSOCIAZIONE A BANDA ARMATA, VOCI E FATTI SEDIZIOSI TENDENTI A SPARGERE IL MALCONTENTO CONTRO IL RE. IN FONDI
Il maggiore dei Bersaglieri del 28° Battaglione del 6°Corpo di Armata rimetteva all’autorità giudiziaria tale Domenico Zannettino, arrestato per essersi rifugiato nello Stato Pontifico per sottrarsi alla leva.
L’ arrestato, altresì, era imputato di associazione a banda di briganti, di grassazione di un tabarro ad un ignoto contadino di Monticelli e di aver espressa la volontà di servire Francesco II°-
REAZIONE DI SAVIANO
La reazione di Saviano si sviluppa e si esaurisce il 22 settembre 1860, nell’arco di poche ore, ad opera di villani esacerbati dall’imposizione di nuovi pesi comunali, gabelle ed altri dazi. Essa é preceduta da un piccolo tumulto sviluppatosi in Sirico, subito sedato dal giudice regio di Saviano e dal capo della Guardia Nazionale, ove una trentina di contadini protestavano alle voci, fatte diffondere, presumibilmente dall’ex capo Urbano, di un loro imminente arresto e traduzione in Capua agli ordini del generale Garibaldi.
Poche ore dopo, centinaia di individui, armati di fucili, falcioni, coltelli ed altri attrezzi rurali, muovono verso Saviano col proposito di abbattere la Guardia Nazionale. Il processo, composto di cinque fascicoli, tratta di questi avvenimenti e si conclude innanzi alla Prima Corte di Assise di S. Maria C.V. –
Corte di Assise di S. Maria C.V. Atto di accusa, costituzione dei detenuti, verbali di pubblica discussione, sentenza della Gran Corte Criminale, ricorso per cassazione, sentenza della Cassazione con rinvio degli imputati alla Prima Corte di Assise di S. Maria C.V., dichiarazione dei giurati e sentenza. Contro: Gennaro Policastro, Michele Napolitano, Pietro Gragnaniello, Michele Pezza, Francesco Tufano, Pasquale Iovino, Raffaele Falco, Angelo Palmese e numerosi altri. (2)
CORRISPONDENZA E SOMMINISTRAZIONI DI ARMI E MUNIZIONI A BANDA ARMATA, GRASSAZIONI, FRODI IN PRATELLA
Luigi Ricciardi e Giovanni d’Angelo, rispettivamente capitano della Guardia Nazionale e cancelliere comunale, l’uno sergente della Guardia Nazionale, e sindaco l’altro, nel corso del 1861 avevano avuto relazioni con la banda di briganti che si aggirava nei dintorni di Pratella sotto il comando del cosiddetto Calabrese. Arrestati dalle forze dell’ordine, il Ricciardi e il d’Angelo venivano processati per aver somministrato armi e munizioni alla suddetta banda e per aver, nella qualità di sindaco e cancelliere comunale, estorto cereali ed altro a non pochi naturali di Pratella.
(1) Salvatore De Crescenzo, capo dei capi di quella che allora si chiamava La Bella Società Riformata, è stato sicuramente il primo grande camorrista dell’era moderna.
Eletto a testa dell’organizzazione nel 1849, per diversi anni è stato un protagonista rilevante della storia di Napoli e d’Italia. Oltre a essere il capo della malavita organizzata dell’epoca, Tore ’e Crescienzo ebbe un ruolo fondamentale durante il passaggio dei poteri dai Borbone ai Savoia. Nel 1860 Liborio Romano, ministro della Polizia di Francesco II prima e del nuovo governo unitario poi, lo nominò commissario di polizia col compito di mantenere l’ordine pubblico; funzione che svolse egregiamente, insieme ai suoi camorristi diventati all’improvviso poliziotti, soprattutto a vantaggio degli affari della camorra. La pacchia dei camorristi-poliziotti si concluse agli inizi del 1861, quando Silvio Spaventa, nuovo ministro della Polizia, pose fine a questa anomalia gettando in cella molti di loro. Nel luglio del 1862 anche il capo Tore ’e Crescienzo rimase impigliato nella rete della legge: usando Nicola Jossa, un guappo non affiliato alla camorra, il questore Aveta riuscì a far arrestare De Crescenzo, che fu rinchiuso nel carcere di Castelcapuano. È da qui che inizia per Tore una nuova storia, una storia che influenzerà anche quella dell’Italia intera.
(2) Michele Arcangelo Pezza nacque a Itri, un piccolo centro posto sulla via Appia tra Fondi e Formia, nella Terra di Lavoro, all’epoca parte del Regno di Napoli, attualmente in provincia di Latina, quintogenito dei nove figli di Francesco Pezza, membro di una delle famiglie più in vista del paese, e di Arcangela Matrullo. Michele doveva il suo doppio nome al fatto di essere stato battezzato nella chiesa di San Michele Arcangelo. I suoi fratelli erano: i gemelli Giuseppe Antonio e Vincenzo Luca, nati nel 1762, Maria Saveria Giuseppa, nata nel 1766, Francesca Erasma Marianna, nata nel 1768, Giovanni Nicola, nato nel 1774, Regina Maria Civita, nata nel 1778, Maria Anna Zaccaria, nata nel 1776, e Angelo Antonio, nato nel 1782. All’età di cinque anni una grave malattia mise a serio rischio la sua vita. Visto che le cure erano inefficaci, la madre fece un voto a san Francesco di Paola: lo promise frate se si fosse salvato. In realtà, il voto non era gravoso: consisteva nel vestire il bambino con un saio da frate sia d’estate sia d’inverno. Quando il vestito si fosse consumato, l’avrebbe riportato al santo e così il voto si sarebbe sciolto. Per adempiere al voto materno, Michele trascorse tutta l’infanzia vestito con il saio, guadagnandosi il soprannome di «Fra Michele». Quando sciolse il voto, era già entrato nell’adolescenza. Ricevette la prima istruzione in parrocchia, ma non si rivelò adatto agli studi. Durante una lezione, il canonico Nicola De Fabritiis, suo insegnante, davanti alla poca voglia di studiare dell’allievo e alla sua pigrizia, lo apostrofò con la frase: “Tu non sei Fra Michele Arcangelo; tu, tu sei Fra Diavolo!”. Una volta cresciuto, Michele aiutò il padre nel lavoro nei campi, ma questi, vedendolo interessato più ai cavalli che alle olive, lo mandò a lavorare presso la bottega di un amico bastaio, Eleuterio Agresti, il sellaio del paese. Rimase per alcuni anni nella sua bottega. Un giorno, durante un’accesa discussione, Eleuterio mise le mani addosso al ragazzo, il quale per tutta risposta uccise il mastro sellaio con un grosso ago usato per imbastire le selle, poi ne assassinò il fratello, Francesco Agresti (detto “Faccia d’Argento”), che gli aveva giurato vendetta. Iniziò quindi un periodo di vagabondaggio sui monti Aurunci, dove si mise al servizio del barone Felice di Roccaguglielma, nel feudo di Campello. Successivamente si trasferì a Sonnino, nello Stato Pontificio, appoggiandosi a una famiglia itrana che vi si era trasferita. Non sappiamo se servì nelle guardie pontificie ma sta di fatto che, da latitante, entrò in contatto con numerosi briganti, con i quali instaurò buoni rapporti, ricevendo in breve tempo una considerazione degna di un capo.