*I pericoli della solidarietà* di Vincenzo D’Anna*
Viviamo in un mondo nel quale si ha la percezione che l’animo umano sia meno incline alla bontà, che il valore del verbo “avere” abbia preso il sopravvento sul verbo “essere” in tutti i sensi, che l’odierna società abbia definito un prezzo per ogni cosa, senza conferire valore a niente. Non passa giorno senza che la politica ci ammannisca due categorie di interventi statali consistenti nella forza livellatrice ed equitativa della cosiddetta giustizia sociale e nella pratica ad essa connessa della solidarità (per i più svantaggiati). Ne consegue che se dovessimo fare una graduatoria delle espressioni utilizzate ci troveremmo di fronte a concetti e modi di dire abbastanza abusati. Tra questi, appunto, solidarietà e giustizia sociale sono tra quelle più utilizzate. Ciò non tanto per il sentimento naturale che spinge l’uomo a far del bene al prossimo, a soccorrere chi ha bisogno di aiuto, quanto per il semplice fatto che dietro queste due parole spesso si nascondano altri sottintesi interessi politici ed elettorali, molto meno spontanei e nobili. Discende da questa triste ma veritiera constatazione la necessità di capire e quindi di poter valutare che cosa sia realmente la solidarietà e quale funzione essa svolga nella civile convivenza fra gli uomini e nel rapporto fra governati e governanti. Giorgio La Pira, cattolico democratico e sindaco di Firenze, fu certamente un uomo che l’adottò la solidarietà come principio ispiratore della propria azione politica, tanto da essere considerato un “santo” nella sua missione pubblica di amministratore. Per La Pira la solidarietà, quella non inquinata da inconfessate finalità e tornaconti politici, era “l’attesa della povera gente”. Ne consegue che, oltre a dover comprendere cosa significhi veramente questo termine, si debba anche verificare chi siano, alla fine concretamente, i veri depositari ed i beneficiari dello stesso. Insomma se la giustizia sociale realizzata attraverso la solidarietà, raggiunga veramente l’obiettivo oppure non sia altri che un espediente politico per catturare consensi elettorali, per realizzare quella che l’economista liberale e premio Nobel per l’economia F.A. Von Hayek considerava come una contraddizione in termini, un ossimoro, definendola, all’atto pratico, sfrondata dal presupposto ideale, come “l’etica della tribù”. Il ragionamento del grande economista era semplice e chiaro laddove questi affermava che una cosa giusta lo è in quanto tale e non ha bisogno dell’aggettivazione sociale e che, in concreto, ogni elargizione pubblica produce una disparità di trattamento in favore di talune categorie sociali a svantaggio di altre. In sintesi: finisca con rivelarsi una turbativa economica perchè impiegando risorse statali, pagate dai contribuenti a mezzo della tassazione, si finisce col gravare sul debito statale e quindi sulla categoria dei contribuenti. In poche parole: nessun pasto offerto è veramente gratuito finendo col rappresentare, di converso, un onere economico su di una parte del consesso sociale che pagherà, con la tassazione, un maggior esborso. Un esempio pratico può essere tratto dal provvedimento, varato a suo tempo, dal governo Renzi degli 80 euro destinati ai docenti per l’aggiornamento professionale.Quel provvedimento, a debito pubblico crescente, ha aumentato le spese per interessi sul debito stesso, quindi sui contribuenti, finendo per trasformarsi anche in una turbativa del libero mercato di concorrenza. Infatti se quel sussidio fosse stato destinato agli anziani avrebbe incrementato l’acquisto di prodotti alimentari e farmaceutici che rappresentano il consumo tipico di quel determinato segmento di popolazione, invece di aumentare, come accaduto per i docenti, la tipica spesa in generi ed attività culturali come l’acquisto di libri, oppure ticket per teatro e spettacoli. Lo stesso dicasi per le rottamazioni e le agevolazioni per talune tipologie di beni, oppure dei famigerati bonus tanto cari al buon Giuseppe Conte. Venendo ai nostri giorni siamo informati che il governo Meloni ha varato una legge di Bilancio con poche risorse disponibili, stante il pesante buco prodotto dalle fin troppo benevole e gratuite elargizione da parte degli esecutivi che l’hanno preceduta (leggi: reddito di cittadinanza, superbonus edilizio). La conseguenza pratica è che molte categorie sociali vedranno frustrate, inascoltate, le aspettative ed i propri bisogni dal pregresso carico debitorio ereditato. Abituati come siamo all’eufonico richiamo alla giustizia sociale ed alla solidarietà non ci accorgiamo che il conto delle politiche governative finisce per ricadere su larghi strati della popolazione ed immancabilmente sul contribuente che quelle allegre e solidali politiche, alla fine, sarà costretto a subire senza trarne beneficio . Per paradosso, nel variegato teatrino della politica, che ignora le regole dell’economia per trarne vantaggi, a protestare per la penuria di fondi disponibili sono proprio coloro i quali, essendo diventati opposizione, quella condizione di precarietà hanno creato in precedenza ed in seguito dimenticata . Che dire? C’è chi deve abbozzare, disinteressato, e farne le spese, esponendosi ai “pericoli” della solidarietà ed all’aleatoria finalità della giustizia sociale.
*già parlamentare
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