L’anima del futuro* di Vincenzo D’Anna*
I sogni dei giovani, si sa, sono l’anima del futuro. Sono stati pochissimi gli uomini di Stato e i grandi politici che hanno orientato ed ispirato, nelle future generazioni, sentimenti e passioni, sogni di cambiamento e di libertà, di civile progresso per tutta l’Umanità. Uno di questi giganti moriva a Dallas, per mano assassina, sessant’anni orsono. Il suo nome era John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti. L’uomo che ancora oggi viene ricordato con ammirazione e malcelata nostalgia da tutti coloro i quali si ritrovarono nella sua politica, improntata a sentimenti di libertà, prosperità e giustizia sociale sia nel paese che governò, dalla Casa Bianca (per appena tre anni), sia in tutto il mondo occidentale e “civilizzato”. Ritenuto un outsider, allorquando si candidò alla Presidenza, contro il più noto, potente e scaltro avversario Richard Nixon, Kennedy sovvertì i pronostici anche grazie all’assoluta novità dell’ingresso della televisione in campagna elettorale. Attorno a quell’uomo bello, aitante e spigliato, col suo ciuffo di capelli ribelli, dal sorriso accattivante, l’eloquio elegante ma semplice ed incisivo, il mezzo televisivo costruì un moto di simpatia, nel senso etimologico del termine, un alone di consensi che, all fine, si rivelarono decisivi per la vittoria trasformandolo, successivamente, in una icona di libertà e progresso in tutto il mondo. La sua politica, ribattezzata “Nuova Frontiera” rilanciava, aggiornandole, le tesi di un altro grande presidente, quel Franklin Delano Roosevelt che pur paralitico, tenne ferma la barra del governo americano nei giorni dell’aggressione giapponese di Pearl Arbour, entrando in guerra anche contro le dittature nazi fasciste del Vecchio Continente. In sintesi: la nuova frontiera si distingueva, sul versante progressista, con l’introduzione della previdenza sociale per le fasce più povere, sostegno ai più deboli, lotta alla discriminazione razziale, ancora molto forte negli Stati Americani del Sud, la politica di difesa dei principii di democrazia liberale, ovunque venissero minacciati o conculcati. Insomma: l’idea di un’America generosa ed idealista, nella quale gli interessi del capitalismo economico non dovevano più interferire e denegare i principii di solidarietà sociale e di aiuto alle fasce deboli. A leggerle oggi quelle parole, quei programmi, non destano più stupore, essendo diventate patrimonio quasi universale degli Stati Liberi e dell’umanità, ma vanno intese e valutate nell’epoca in cui vennero proferite. Erano quelli i tempi in cui esse rappresentarono un idealismo senza precedenti, rivolte ad un mondo uscito dissanguato dalla guerra mondiale, professate in un contesto politico post bellico, al quale era subentrato la guerra fredda tra Usa e Urss, le due super potenze di quegli anni, in lotta tra loro per l’egemonia mondiale, minacciava di sfociare in un conflitto atomico. Kennedy volle, ed ottenne in seguito, la conquista dello spazio, colmando il gap con i Russi. Opero’ per dirla, iconicamente, con Winston Churchill in tempi nei quali una pesante cortina di ferro divideva il mondo libero e democratico da quello delle dittature marxiste e liberticide, imposte, per mano militare, da Mosca ai paesi “liberati” dall’Armata Rossa. Peraltro da pochi anni l’America era uscita dalla guerra in Corea ed in tutto il Sud Est asiatico, con la Cina maoista che alimentava movimenti militari, tendenti ad instaurare anche in Vietnam, Laos e Cambogia, regimi comunisti. Insomma: in un mondo nel quale i fantasmi della dittatura rossa e dell’egemonia dei soviet si agitavano pericolosamente. In questo contesto gli States di J.F. Kennedy divennero un riferimento di libertà, un bastione di fortezza a difesa di quel mondo occidentale con il suo portato politico e civile improntato alla autodeterminazione dei popoli anelanti la libertà. Vera oppure verosimile che fosse questa rappresentazione, essa fu creduta, ancora di più allorquando Kennedy, parlando in una Berlino che la repubblica democratica tedesca, a regime marxista, aveva diviso con un muro, si dichiarò “Berlinese” e pronto a difendere il regime liberale instauratosi ad Ovest di quella linea di demarcazione. Insomma quell’uomo lavoro’ per la “Big Society” tollerante, inclusiva e prospera, divenendo
l’emblema della difesa dei diritti civili e delle libertà calpestate nei regimi totalitari, accendendo speranze ed aspirazioni nei popoli europei. Memorabile fu anche la visita del presidente a Napoli nel 1963, con una folla immensa, schierata ai bordi delle strade, che acclamava Kennedy anche come segno di gratitudine per quanto l’America aveva fatto per l’Italia nell’immediato dopo guerra. Non c’è Comune nel quale, oggi, una strada, una piazza oppure una scuola non siano state intitolata all’uomo delle speranze di una nuova frontiera di libertà e di umanità. Milioni di giovani avrebbero ricordato, negli anni a venire, quei principii che ancora oggi sostanziano le speranze in un mondo migliore, ossia l’anima del futuro.
*già parlamentare