*Kiev come Danzica?* di Vincenzo D’Anna*
La guerra di liberazione dei territori occupati dal megalomane che regna al Cremlino continua lenta e sanguinosa. Ormai è un conflitto di trincea, combattuto da un popolo orgoglioso ed indomito, quello ucraino, e da un esercito, quello russo, che impiega con la forza finanche i detenuti e gli stessi migranti giunti, dopo varie peripezie, sul proprio suolo. Dopo aver utilizzato i mercenari ceceni, siriani e bielorussi, Putin ora sta lanciando nella mischia anche i giovani coscritti richiamati dall’obbligo di leva, nonché tutti coloro i quali hanno guai con la giustizia e che, ignari, vengono mandati al fronte con la promessa della libertà. Basterebbero queste considerazioni sulla composizione dei due schieramenti che si affrontano per capire quanto grande sia la differenza sulle ragioni che muovono i contendenti (anche sotto il profilo morale) e quanto, soprattutto, diversa sia l’idealità che li ispira. Ragioni e idealità non rappresentano certo fattori decisivi, perché, si sa, le guerre richiedono soldi ed armamenti adeguati, ma possono comunque essere considerati elementi importanti per quanto concerne la resa delle truppe sul campo di battaglia. Fonti giornalistiche bene informate, testimonianze dirette degli stessi ufficiali e dei blogger anti governativi russi narrano, infatti, di metodi sbrigativi e violenti utilizzati dagli ufficiali di Putin per costringere i loro uomini a combattere, ivi compresa la decimazione allorquando i soldati si rifiutano oppure sono titubanti nell’agire. D’altronde quella di Mosca è stata fin dall’inizio una guerra “sporca” sviluppatasi ben oltre il rispetto minimo dei codici militari ed etici. Una guerra che è andata a colpire in particolar modo le popolazioni e le infrastrutture civili, con tutto il corredo degli stupri, delle torture, delle fucilazioni e delle fosse comuni che ne è conseguito. I commentatori filo moscoviti hanno sempre avvalorato, come giusta causa, l’intento di Putin di affrancare dalle malversazioni ucraine le regioni a maggioranza russofona del Donbass e della Crimea. Una giustificazione che non regge perché l’intento russo era realizzabile anche con i mezzi della diplomazia e del ricorso agli enti internazionali preposti come l’ONU nel quale Consiglio di Sicurezza, fino a prova contraria, siede, con diritto di veto, proprio la Russia. Altri commentatori “schierati” hanno puntato il dito contro l’espansione ad Est della Nato vedendo in questo “allargamento” un imminente pericolo per la Russia necessitata pertanto a voler creare uno Stato cuscinetto tra i due blocchi politici e militari. Tuttavia entrambe le tesi giustificative sono oggettivamente false e pretestuose perché anche l’espansione della Nato nasce dalla libera e democratica adesione di altri Paesi all’alleanza difensiva atlantica. Una legittima e sovrana determinazione di quei popoli, insomma, che ben hanno conosciuto, in passato, quanto duro fosse il tallone che li teneva segregati sotto la minaccia dell’Armata Rossa ai tempi dell’URSS e del comunismo imperante. Resta comunque come dato di fatto che uno Stato sovrano rischia di essere annesso, per mano militare, da un altro Stato con la “spiegazione” che quest’ultimo debba liberare popolazioni affini e di stessa madre lingua. E’ come se l’Italia invadesse la Svizzera per annettersi il Canton Ticino, oppure l’Austria conquistasse l’Alto Adige in nome di una comune assonanza linguistica ed etnica. Ma a parte le bugie dalle gambe lunghe dello zar del Cremlino e di coloro che, a vario titolo, lo sostengono, il vero e tragico paradigma storico che vale la pena richiamare in questa sede è quello dell’annessione che i nazisti fecero sia del corridoio polacco di Danzica, sia dell’Austria. Nel primo caso il pretesto fu quello di dover rivendicare il ricongiungimento dei Sudeti, popolazione di lingua germanica, alla madre patria tedesca; nel secondo annettere l’Austria (“Anschluss”) per un fatto etnico e storico, attraverso uno pseudo plebiscito popolare svoltosi sotto la minacciosa cappa di un blitz militare diretto del Terzo Reich. Se questi fatti storici e politici sono logici, così come lo sono, l’Occidente nel suo complesso di Stati liberi e democratici, dovrebbe tenerne conto e non commettere l’errore fatale che Neville Chamberlain ed Édouard Daladier, allora rispettivamente primi ministri dei governi inglese e francese, commisero quando a Monaco, nel 1938, trattarono con Adolf Hitler accettando come “cosa fatta” la scomparsa di Cecoslovacchia ed Austria. Winston Churchill, tempo dopo, così commentò: “potevano scegliere tra il disonore e la guerra, hanno scelto il disonore ed avranno la guerra”. Se l’Occidente ridurrà il sostegno militare ed economico a Kiev ripeterà quel tragico errore da cui potrà scaturire, è triste dirlo, un ben più vasto pericolo di guerra su ampia scala. A poco o nulla servirà allora la costituzione difensiva che, per statuto, si è data la NATO e questo varrà anche per gli Stati Uniti ove i repubblicani hanno bloccato ifondi e gli aiuti destinati all’Ucraina. Biden sarà pure anziano e malandato in salute, ma una vittoria elettorale di Trump e del suo populismo approssimativo e scriteriato rischia di portare nuovi pericoli alla pace ed a tutto il mondo libero.
*già parlamentare
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