*Le foglie di fico sulla nostra cultura* di Vincenzo D’Anna*
Sono passati secoli da quando ai grandi artisti rinascimentali veniva imposto, dai custodi della morale religiosa (oppure dai depositari di quella laica), di ricoprire le parti intime delle loro opere con foglie di fico o drappi di stoffa, sapientemente adagiati sulle zone considerate “peccaminose”. Grandi Papi e porporati, amanti dell’arte e mecenati degli artisti, discendenti da nobili, potenti e facoltose famiglie, commissionarono capolavori per abbellire chiese, cappelle private e dimore. Michelangelo, Caravaggio, Raffaello, Leonardo, tra i più noti e celebrati, furono invitati dai committenti a comporre lavori che non destassero offesa a quella che era considerato il “pudore” in quell’epoca. Eppure gli scultori greci avevano lasciato in eredità sculture, mosaici e pitture ancora insuperate per bellezza, molto apprezzate dagli stessi mecenati, che non consideravano affatto impudico riprodurre tutte le parti anatomiche umane. Pur in un’epoca felice e feconda per la cultura in generale, come quella del Rinascimento, non mancarono gli influssi retrogradi di una morale intransigente e per alcuni versi gretta, che influenzarono artisti e pensatori. Pensavamo che lo stato di cose appena descritto fosse rimasto nei libri di Storia. In vero ci siamo spesso lamentati, all’opposto, di un’evoluzione rapidissima del concetto di pubblica morale, allorquando nuove mode e nuovi modi di pensare hanno radicalmente cambiato sia l’etica che i costumi, travolgendo spesso buon senso e buon gusto. Agli albori del terzo millennio e fino ai giorni nostri, la metamorfosi degli usi e degli stili di vita, della scala dei valori morali e della stessa etica pubblica, ha subìto addirittura un’ulteriore accelerazione grazie ai mezzi di comunicazione di massa ed allo sviluppo delle reti social. Pronube di questo rapidissimo cambiamento le correnti filosofiche ed esistenziali che vanno sotto il nome di conquiste “emancipanti” come le teorie gender, quelle LGBT, fino al “politicamente corretto”, ossia quel surrettizio modo di cambiare i vecchi valori civili e morali in uso con l’introduzione di innovativi modelli di comportamento, di linguaggio e di sdoganamento di pratiche pseudo rivoluzionarie, scientifiche, sociali ed etiche. Quindi tutto avremmo immaginato salvo di poter tornare…indietro nel tempo assoggettando noi stessi a modi di vedere ormai archiviati e superati storicamente!! In parole povere: in nome dell’osservanza di uno dei corollari imposti dal “politicamente corretto”, il multiculturalismo, abbiamo accettato di accogliere idee e pregiudizi che non appartengono più, da secoli, al nostro portato culturale sia laico che religioso. Vado al sodo: per poter accogliere, come si deve, la massa dei migranti che ormai ha invaso, pacificamente, l’Europa e rispettarne il credo religioso nonché la cultura e le pratiche tradizionali , siamo stati, di fatto, invitati ad evitare di “distinguerci”! In soldoni: ci è stato chiesto di fare in modo che ogni nostra tradizione, ogni nostro progresso culturale, ogni nostra nuova cognizione umana, maturata negli anni in un regime democratico e tollerante, andasse eliminata oppure resa minimale sulla scorta dei cosiddetti canoni dell’accoglienza progressista. Pena il vedersi affibbiare, secondo il caso di specie, l’accusa di retrogrado, razzista, omofobo, se non quella del troglodita non al passo con la modernità. Inutile dire che queste patenti di ortodossia e di parificazione, ai nuovi ed idonei modelli culturali, sono state distribuite dai cosiddetti “benpensanti” dello schieramento sociale. Per intenderci meglio: quelli che si aggregano in varie schiere politiche tutte logicamente collocate a sinistra. Ecologisti, pacifisti, buonisti, moralisti e legulei, le sub specie più accreditate. Insomma per sentirci alla pari, come bisogna necessariamente essere, siamo stati costretti ad accettare l’evidente contraddizione di tornare sui nostri passi storici ed accogliere tesi e filosofie di comportamento sdoganate ed accreditate nel nostro contesto sociale. Per essere più chiari: ci hanno letteralmente costretti a buttare alle ortiche i faticosi progressi che una comunità ha maturato nei secoli, superando superstizioni sociali, arretratezze culturali, inibizioni religiose ed i nodi gordiani che abbiamo spezzato con la spada della conoscenza e del progresso. Eccoci allora arretrare, in nome dell’accoglienza, sui i nostri simboli religiosi, come il crocefisso appeso nelle scuole, il presepe ed il Natale, i riti della Pasqua, ricorrenze che possano “offendere” i diversi, ossia coloro che pure abbiamo accolto nelle nostre città. Ma non pensavo che si potesse anche fare un passo indietro addirittura nel campo dell’arte e della estetica. Dalla vicina Francia arriva infatti la notizia che studenti di una classe, perlopiù composta da figli di migranti, siano arrivati a contestare l’insegnante che aveva avuto l’ardire di mostrare loro un opera d’arte che ritraeva una scena di mitologia e nella quale i personaggi mostravano le loro nudità!! Capite? Siamo ad un ritorno al più buio Medio Evo. Insomma adeguarci al retrogrado livello culturale e religioso, di cui sono portatori taluni etnie immigrate.Insomma: la mortificazione di dover apporre foglie di fico sulla nostra arte, un ritorno a pratiche anacronistiche e sub culturali.
*Già Parlamentare
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