Ilva, la truffa perpetua* di Vincenzo D’Anna*
Ci sono cose in Italia che non destano più meraviglia tanto sono prevedibili e perfino ineluttabili. Ormai non destano più neanche un moto d’indignazione generale. Il pollaio della politica è diventato un luogo dallo spazio angusto in cui circola ancora qualche gallo insieme ed una moltitudine di galline che tenta invano di spiccare il volo. Ancora più desolante è lo spazio sociale, l’ambito degli interessi che stanno a cuore al cittadino più avveduto e partecipe, ridotto, da settimane, a seguire le vicende di una “petit trafficant” come Chiara Ferragni oppure le notizie investigative sul solito omicidio che attraversa, ahinoi, la cronaca nera senza soluzione di continuità!! Nel frattempo i tg lanciano segnali di un ottimismo economico derivante dagli ottimi indici registrati in queste settimane. Il che è sintomo di buona salute per il governo. Tanto basta, a sinistra, per rispolverare il vecchio armamentario dell’anti fascismo militante e del relativo pericolo che incombe sulle nostre istituzioni per il saluto romano sfoderato da un paio di centinaia di “nostalgici” durante l’annuale commemorazione per i fatti di Acca Larentia. Fatti commemorati da decenni – la morte di due giovani militanti missini – e dei quali poco o niente è importato finora ai governanti di turno (premier di stampo dem compresi), anche per la cattiva coscienza di quanti, in quei tempi sanguinosi, non stavano né dalla parte dello Stato, né da quella della sinistra eversiva. Tuttavia essendoci oggi al governo un esecutivo di centrodestra, democraticamente scelto dagli elettori, pare che l’apologia del fascismo possa essere liberamente agitata e quindi tutti faccia a terra a battersi il petto!! Insomma: roba già vista e rivista: espedienti pre elettorali, provocazioni tattiche che non credo smuovano voti e che semmai rischiano di riportare l’agire politico del Belpaese sul terreno della metafisica. Praticamente lontano dall’uomo della strada. In questo clima di attualità ricorrente si inserisce una vicenda che non solo è tra quelle attuali ma anche, tristemente, ricorrente: una storia che si trascina dal secolo scorso e che, con altre analoghe storie, rappresenta l’apice dello sperpero del pubblico denaro. Stiamo parlando della vicenda legata alla produzione dell’accaio italiano e più in generale del sistema siderurgico dello Stivale. Stiamo parlando, per capirci, dell’Ilva, una delle maggiori aziende siderurgiche italiane del XX secolo. Creata agli albori del ‘900, la grande industria è passata più volte dalle mani dello Stato a quelle del privato, attraverso varie fasi di ristrutturazione che poi alla fine hanno addossato al pubblico gli oneri ed i costi per venirne a capo. Chiusa l’Ilva di Bagnoli con l’utilizzo della cassa integrazione e guadagni più lunga nella storia del mondo occidentale (al netto dei costi di una bonifica ambientale che dopo mezzo secolo non è mai realmente iniziata), la storia si è spostata su Terni e Taranto. Nella prima città, dopo varie traversie, ha iniziato ad operare una società privata che si occupa di acciai speciali e che non grava in alcun modo sulle finanze statali. In Puglia invece tutt’altro. L’azienda tarantina, come tutte quelle a gestione pubblica, ha prodotto e ancora produce perdite e quel che è peggio inquina (e ha inquinato) fortemente. In nome della salvaguardia dei posti di lavoro lo Stato, nel corso degli anni, ha rifuso le perdite dello stabilimento fino a quando non ha poi deciso di cedere la struttura. Il prezzo per la vendita? Convenientissimo, non fosse altro perché lo statalismo pubblicizza le perdite e privatizza gli utili!! Questi, in breve, i fatti: i Riva acquistano l’acciaieria di Taranto a prezzo stracciato (700 milioni di euro). In venti anni dichiarano utili per 2,1 miliardi ma dimenticano di bonificare fabbrica e ciclo lavorativo. Lo scandalo è inevitabile. I Riva allora si fanno da parte: c’è da riparare un altoforno con circa un miliardo di investimento e provvedere alle bonifiche. Chi lo farà? Ma lo Stato chi altri?!? Ecco allora che si cambia cavallo e si vende l’azienda ad Arcelor Mittal, il colosso indiano dell’acciaio, promettendo ai medesimi una sorta di immunità per i pregressi mancati adempimenti ambientali. Le cose vanno allo stesso modo di prima. Innanzi alla prospettiva di dover tirare fuori soldi per investire (ma anche per risanare), infatti, pure gli indiani se la battono a gambe levate!! E siamo di nuovo al punto di inizio!! Di tutto si parla facendo leva sui soldi pubblici per salvaguardare i posti di lavoro, ma nessuno dice che il nostro acciaio costa il trento percento in più e non si colloca sui mercati!! La politica energetica che ha abolito il nucleare, che ha progressivamente soppresso le fonti energetiche inquinanti, ha alzato il costo energetico. L’acciaio? Si produce con l’energia degli altiforni. Costa e pure assai!! In soldoni: l’Ilva è diventata come Alitalia, Montedison e Autostrade SpA: la faccia della stessa medaglia statalista. Un vuoto a perdere costoso quanto inutile che il governo, di destra vuole riacquisire. Esattamente come quelli di sinistra!!
*già parlamentare