*Tra Fascismo e ridicolo* Editoriale di Vincenzo D’Anna*
Un vecchio e “certificato” adagio popolare ammonisce che tra il sublime ed il ridicolo non c’è che un passo. Insomma: l’ottimo è nemico del bene, quando vengono meno equilibrio e moderazione ecco allora che si corre il rischio concreto di veder disperse anche le buone intenzioni. Ci sono argomenti nel panorama politico italiano per i quali la regola aurea dell’ottimo è ferrea. Per tali fattispecie, infatti, non basta il raggiungimento del buono, né esiste un definitivo approdo che collochi l’argomento prescelto tra le cose definite ed acclarate. Uno di questi, che affiora di tanto in tanto come un fiume carsico, è il pericolo di una restaurazione del Fascismo. Uno spettro che sovente viene evocato, in orbace e stivaloni, e talvolta sventolato a mo’ di allarme democratico da un intero ceto politico di sinistra. Accade allorquando taluni politici poco o nulla hanno da argomentare e/o rappresentare. Insomma: stiamo parlando di una specie di malattia esantematica che, come il morbillo, finisce per contagiare ed immunizzare intere generazioni. Eppure, trattandosi di un ricorrente “deja vu”, l’argomento “ fascismo” dovrebbe aver perso ogni attrattiva presso l’opinione pubblica e men che meno come spauracchio sullo scenario politico. Invece no. A sinistra sono tanto bravi da saperlo riproporre come uno degli elementi dirimenti per la vita della Repubblica, per conferire ai chierici della chiesa antifascista l’esclusiva patente di “sinceri democratici”. Insomma: un dogma di fede, un lascito storico politico, un blasone indispensabile per i veri patrioti, ancorché la marcia su Roma sia andata in scena poco più di un secolo fa. Ovviamente poco o niente altro pare debba essere ricordato del “secolo breve” riguardante l’altra grande dittatura – il Comunismo (Marxismo Leninismo) – che per circa ottant’anni ha reso schiave centinaia di milioni di persone, molte delle quali affamate, segregate e fatte sparire! Eppure nel Belpaese sono migliaia i dirigenti politici provenienti dal defunto Pci; altri addirittura, con esperienze extra parlamentari alle spalle, sono ancora sulla breccia. Come mai a nessuno di costoro è mai stata chiesta una formale abiura del pregresso credo ideologico? Pensate: per puro paradosso non sono pochi quelli che, pur avendo quel particolare modello di storia sul groppone, oggi insegnano…liberalismo e democrazia dal pulpito etereo dei convertiti!! Una vera e propria asimmetria, quella di trattare il totalitarismo a secondo del versante sul quale si giace. Uno strabismo manicheo, in una nazione nella quale liberalismo e socialismo diventano spesso un unico minestrone nella pratica di governo, così per tirare a campare e governare con la leva della spesa a debito crescente. La parola “riforma” è ancora tutta da esorcizzare in un Paese, il nostro, in cui vige una carta costituzionale vecchia di tre quarti di secolo e frutto di un perpetuo compromesso tra forze liberali, cattoliche e socialcomuniste. Tuttavia quello che più conta non è tanto il contenuto quanto il contenitore. Per capirci: l’antifascismo va inteso, da taluni, come dato ontologico della nostra democrazia, e che tutto il resto perisca poco importa!! Allora se dopo sessant’anni di governi in prevalenza di centrosinistra, il popolo italiano decide di premiare un leader della destra, ecco che i conti non tornano. Nossignore: bisogna far risorgere a tutti i costi i pericoli del Fascismo potenziandoli, semmai, con la circostanza che ai vertici dello Stato siano giunti gli eredi di quel famigerato regime, coloro insomma che tutto sommato si sono sempre sottratti al ripudio perpetuo e ricorrente dell’operato del Duce, non avendolo peraltro mai vissuto. Secondo i soliti “maître a penser” che popolano talune trasmissioni, lividi e frustrati, se la Repubblica è nata dall’antifascismo non ci si può né si deve sottrarre in alcun modo alla condanna di quel regime, anzi, deve essere una condanna ricorrente. A poco serve ricordare a questi “moralizzatori” che chi oggi ci governa non ha mai avuto punti di contiguità con quell’epoca già lontana, esecrata ed accantonata da decenni. Parlare dei pericoli di un concreto rigurgito fascista in Italia equivale a ritenere che Annibale possa ridiscendere le Alpi con i suoi elefanti per insidiare Roma. Ma se a chi è a corto di argomenti seri e di soluzioni praticabili, serve una cortina fumogena, ecco allora che anche le truppe cartaginesi possono ricomparire nella piana di Canne facendo riprendere fiato alla retorica dell’antifascismo, alla farlocca rappresentazione di un’Italia liberata dai partigiani e non dalle truppe alleate che risalirono, versando il loro sangue a fiotti, la Penisola. Che bisognasse sbarazzarsi del mito di quell’epopea lo comprese per primo il “Migliore” tra i comunisti, quel Palmiro Togliatti che pure trattò e legiferò l’amnistia per i reati commessi sia dai fascisti che, si badi bene, dagli stessi suoi compagni partigiani durante la “guerra civile” che divise in due lo Stivale dopo l’8 settembre del 1943 e per molti mesi ancora dopo il 1945, cioè dopo la fine del conflitto. E lo potettero comprendere coloro che il Fascismo, quello vero, lo avevano subìto e pagato sulla propria pelle, con il carcere e l’esilio. Per la stessa ragione oggi c’è solo chi il Ventennio lo confonde con un ridicolo espediente politico buono per tutti gli usi!!
*già parlamentare