*Cicchignacco e la Terza Repubblica* di Vincenzo D’Anna*
Pensavamo di averle viste sul teatrino della politica: commedie recitate malamente, sia dagli scranni parlamentari sia da quelli del governo. Abbiamo varie volte, su queste stesse colonne, analizzato e denunciato la promiscuità ideologica di cui fanno uso gli esecutivi che si susseguono negli anni. In estrema sintesi che non esistessero più differenti modelli socio economici di riferimento per chi regge il timone della nazione; che le alchimie legislative mischiassero quotidianamente socialismo e liberalismo, ossia Stato e mercato, con la prevalenza del primo sul secondo. Una promiscuità divenuta ormai ontologica: una desertificazione culturale derivante dalla scomparsa dei vecchi partiti, sostituiti da simulacri intestati – come ditte commerciali – a singole persone. Manca di fatto il retroterra dei valori distintivi e peculiari di ciascuna forza politica al netto di vaghi richiami a generiche affermazioni: stereotipi sbiaditi in mano a orecchianti che, come tali, sono pronti a cambiare rotta e prospettiva. Questa la brodaglia in cui vive e cresce la politica italiana ormai troppo incolta per aderire a modelli di stampo europeo. Troppo meschina per guardare oltre la punta del proprio naso. Nel bazar delle varie botteghe la merce offerta è della stessa foggia e qualità, al di là dei diversi richiami pubblicitari per attirare i clienti, quelli che, in seguito, si trasformeranno in elettori. Un esempio plastico ed eloquente di quanto andiamo scrivendo lo si può cogliere osservando i filmati che i tg propongono dell’aula del Senato al termine della votazione sulla legge Calderoli recante norme sulla “Autonomia differenziata”. Sul versante leghista ricompare la bandiera del Leone di San Marco simbolo della secessione che da anni i Veneti invocano nel mentre, con vera italica faccia tosta, governano interrottamente da tempo sia in regione che a Roma. Sul versante opposto la sorpresa è ancora più eclatante: i parlamentari del Pd sventolano bandiere tricolori ed intonano l’inno di Mameli per richiamare l’oltraggio all’unità ed alla coesione nazionale che origina dal provvedimento governativo. Che il Carroccio abbia incassato dai parlamentari di Fratelli d’Italia, campioni del nazionalismo e del patriottismo, quello che non erano riusciti ad ottenere in trent’anni di minacce e di offese alla nazione, è certo un paradosso. Ma quest’ultimo impallidisce innanzi al vessillo sventolato dai senatori Dem, presunti eredi di quella sinistra che amava sostituire il termine “nazione” con la denominazione “paese”. Ancora più singolare è il fatto che i piddini abbiano intonato l’inno nazionale, con buona pace degli inni cari a quella fazione politica. Se qualcuno avesse immortalato, in una foto, quella scena confrontandola con le istantanee di qualche decennio fa, si sarebbe reso conto di come i versanti di destra e sinistra in quell’Aula si siano radicalmente invertiti!! Ma al di là delle incongruenze storiche, dei messaggi subliminali che da quelle immagini si diramano, quel che vanno chiarite al lettore sono le motivazioni addotte dai protagonisti di questa vicenda. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha difeso il provvedimento invocando un rafforzamento della sussidiarietà, ossia del principio che consente agli enti diversi dallo Stato di poter concorrere anche autonomamente alle decisioni su tematiche generali e di diffuso interesse. La premier non ha però indicato come colmare la disparità esistente tra regioni ricche (che tratterranno sul territorio buona parte della tassazione riscossa) e regioni povere (che vedranno diminuite le somme versate da quelle ricche nel fondo di contributo perequativo esistente). Quello che non ha detto la presidente del Consuìiglio è che in seguito i leghisti ricambieranno il piacere votando le modifiche costituzionali per giungere all’elezione diretta del Capo del governo. Insomma: un giro di convenienze sulla pelle della Magna Carta, che va certo riformata ma con orizzonti molto più ampi e lungimiranti del baratto!! Sul versante opposto finalmente si scoprono valori identitari e nazionali da sempre sdegnosamente etichettati di “destra”. Insomma siamo al cospetto di una nemesi beffarda che sembra aver investito entrambi i versanti politici cancellando le vecchie certezze identitarie, ossia quel poco di buono che era rimasto come retaggio stereotipato del passato remoto politico dei due fronti contrapposti. Se questo sarà anche in futuro, la natura politica della “terza repubblica” appare chiare. Una nuova stagione politico istituzionale connotata da ulteriori compromessi identitari e nuove, indeterminate, prospettive. Al momento può solo prevedersi che protagonista di questa nuova era possa essere “Cicchinacco nella bottiglia” il pupazzo di plastica che veniva introdotto un tempo nelle gazzose e che vagava casualmente a seconda del moto assunto dal liquido agitato. Tradotto in italiano, si tratta del diavoletto di Cartesio e dell’imprevedibilità del moto gassoso. E aggiungerei della politica liquida ed evanescente.
*già parlamentare