*La Destra al bivio* di Vincenzo D’Anna*

Ogni anno a Davos, in Svizzera, si riunisce il World Economic Forum (WEF). Si tratta di un’organizzazione internazionale che, periodicamente, fa sedere, attorno allo stesso tavolo, personalità del mondo politico, economico e finanziario per discutere e definire le scelte del futuro. Un’associazione privata e qualificata di professionisti che, per poter prendere parte all’evento, pagano un biglietto del valore di cinquantamila euro!! L’elevato costo di partecipazione testimonia due cose: chi vi partecipa ha un concreto interesse a farlo per tenersi informato e poi il numero dei partecipanti viene filtrato da coloro i quali sovente fanno “passerella” solo per potersi dare un tono. Gli esiti della riunione orientano le politiche degli Stati ad economia liberale fornendo anche delle analisi sulle future prospettive di quella che è l’economia globale. In concomitanza con questo appuntamento ecco squillare puntuali anche le trombe del versante opposto: quello statalista e pauperista, con l’immancabile comunicato di Oxfam. Trattasi del principale movimento che lotta contro le disuguaglianze per porre fine alla povertà e all’ingiustizia. L’assunto di base che orienta le direttive di questa aggregazione, composta da associazioni no profit sparse un po’ in tutto il mondo, è che anni di cattiva politica avrebbero, sostanzialmente, favorito un ceto di privilegiati intrappolando tutti gli altri nella povertà e nell’ingiustizia ed incentivando, in tal modo, la disuguaglianza sociale. In buona sostanza, siamo al cospetto dell’eterna lotta ingaggiata contro chi vede nella produzione di ricchezza il presupposto delle società libere e progredite, il volano per garantire il lavoro, un diffusa emancipazione e la rete di protezione sociale, il miglioramento dello status dei lavoratori e degli stili di vita in un ambito – la globalizzazione – che ha saputo ridurre la soglia di povertà sulla faccia della Terra dal 29 al 9 percento!! Un risultato storico di cui nessuno parla sul versante assistenzialista. Sul fronte opposto, quello dei socialisti impenitenti, si tende a ricondurre il tutto nelle mani dello Stato interventista, sottoforma di monopoli, privative e ripiano dei debiti prodotti dalle Aziende pubbliche. Idolatri del “pubblico”, costoro sono propensi al varo di una società senza eccessive differenze sociali, un aurea mediocrità che livelli meriti e capacità, contrastando
la libera iniziativa ed i diversi esiti di vita, per affermare il principio di “uguaglianza” che confondono malamente ed erroneamente come fondamento di giustizia. L’Italia, sotto questo profilo, è un esempio di scuola, di come si possa far convivere queste due opposte visioni socio economiche per tirare a campare, gestire il potere e governare la nazione. Liberali per asserzioni e promesse teoriche, in tanti diventano statalisti nel pomeriggio calandosi nel sottobosco di incarichi, designazioni, appalti, gestione politico clientelare delle migliaia di imprese a partecipazione statale. Che questa regola non conosca eccezioni da oltre mezzo secolo nel Belpaese e che il sistema sia ontologico per gli italiani – sia chi amministra che chi è amministrato – è un dato ormai storico. Restava, però, sulla roulette del potere un’unica combinazione non ancora determinatasi: quella della Destra dura e pura al Governo. Per volere del popolo sovrano, che in mezzo secolo le aveva già provate tutte, anche questa evenienza si è verificata, ed un ceto politico, per lo più cresciuto all’opposizione del sistema, è assurto al timone del Paese. Peraltro guidato da una donna ideologicamente temprata, che viene dalla militanza politica attiva e che ha completato tutto il “cursus studiorim” che un tempo era il preambolo per emergere in politica. Le aspettative di un vero cambiamento sono quindi legittime oltre che diffuse tra gli italiani. Che poi questi ultimi siano anch’essi anfoteri, clienti più che elettori, adattabili solo alla tutela dei propri interessi, questo è un altro aspetto, un peso che i riformatori sono chiamati ad accollarsi. Tuttavia il trasformismo che connota i cosiddetti italioti rappresenta anche una sorta di garanzia per i riformisti, perché il popolo sovrano sa sempre adeguarsi alle riforme, quando le percepisce giuste oltre che convenienti!! Allora, dicevamo, la palla è in mano alla Destra ed alla sua leader, che dovrà pur giocarla con chiarezza di scelte nel concreto. Sul versante economico la partita è quella del taglio del costo dello Stato e l’apertura al mercato di concorrenza, all’efficienza dei servizi resi anche con competitori non statali in quei settori. Oggi il Governo mette in vendita le quote di minoranza di alcune aziende partecipate per ricavarne 20 miliardi di euro, avendo lo Stato, con il Covid ed il PNRR, abbandonato ogni politica di contenimento della spesa (Spending Review). Ma sono pannicelli caldi se il “piano Cottarelli” per dismettere le aziende statali decotte ed in forte deficit, continuerà a giacere nei cassetti di Palazzo Chigi; se si compiranno devoluzioni secessioniste per il Nord, sottoforma di autonomia differenziata, per accontentare Salvini; se continueranno a languire le riforme di pubblico impiego, giustizia e sanità. Se, infine, si cederà alla tentazione di un semplice ricambio di personale politico preferendo i soliti “fedeli” ai veramente. Insomma, Giorgia è arrivata al bivio: o svolta oppure ripercorrerà antichi ed inutili sentieri.

*già parlamentare