*Gli sfascisti*

di Vincenzo D’Anna*

Tra i più apprezzati aforismi di Ennio Flaiano svetta quello sul comunismo: “Mi hanno chiesto se fossi comunista. Ho risposto che non potevo permettermelo essendo in condizioni disagiate”. Ed aggiungeva, per ironizzare sui radical chic: “sono comunisti perché hanno imparato a mangiare il pesce col coltello”. Di converso, il grande intellettuale fustigava anche l’altro versante ideologico: “il fascismo – diceva – conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni; esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità”. Insomma Flaiano fu uno che non si fidò né mai si affidò alle ideologie totalizzanti, alle certezze indefettibili, sapendo cogliere e fustigare la vera natura degli Italiani, le loro furbizie, il trasformismo e la vocazione a correre sempre in soccorso del vincitore. Ed è nel solco di questa forbita ironia, del disincanto di chi ben conosce gli abitanti del Belpaese che si può apprezzare il pensiero sul fascismo che oggi Marcello Veneziani, intellettuale e scrittore di Destra, ha affidato ai social. Rivolgendosi alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, lo scrittore ha infatti chiesto: “ma non potevate dirlo prima? Che sul Fascismo la pensavate come oggi dichiarate alla stampa!! Tutti, amici e nemici, camerati e compagni, militanti e simpatizzanti si sarebbero risparmiati scontri cruenti, ricerche storiche, contrapposizioni ideologiche, processi e condanne, chiacchiere e distintivo. Ma cosa ci voleva a dichiararsi anti fascisti, a ritenere tutt’uno fascismo, nazismo e razzismo, che il male assoluto fosse solo quello in camicia nera? E’ bello scoprire che nel nostro Belpaese non ci sono più fascisti e comunisti né i loro eredi, anche se obliqui e parziali; che la pensate tutti allo stesso modo anche se a volte non vi capite. L’incubo è finito, l’equivoco chiarito, ora finalmente possiamo tornare tutti a casa in pace e letizia. Evviva era solo un malinteso”. Insomma una serie di domande retoriche ed ironiche che Veneziani ha posto per mettere a nudo la nuova stagione dell’italico trasformismo (e del conformismo) con la quale si abiurano idee e motivazioni del passato, quel bagaglio di certezze ideali orgogliosamente esibite fino a non molto tempo fa e che, nel presente, sono diventate ostacoli ed inciampi lungo la strada che conduce al potere. Un prezzo da pagare per essere accreditati nelle stanze che contano, senza fastidi e critiche da parte di quanti hanno l’interesse, dobbiamo dirlo, a che tutto possa essere strumentalizzato. Tuttavia stavolta la domanda sarcastica e tagliente è giunta dal versante amico: da quelli che ci hanno creduto e che, pur adeguandosi al divenire storico e culturale, non hanno accettato abiure di comodo e furberie tattiche. Sono “voci dal sen fuggite”: quello dei militanti che furono ai tempi della lotta e dell’emarginazione politica, in nome della fede di cui pure erano ferventi portatori. Stavolta non si tratta della critica di un nostalgico che invoca la retorica del saluto romano ma di un intellettuale finissimo che pur avendo, prima di tanti altri, sciacquati i panni nell’Arno, vuole reclamare una coerenza storica, una deontologia comportamentale da parte di quanti oggi sono assurti a posizioni di prestigio e di “comando”. Insomma: nessuna restaurazione né rivendicazione di un passato lontanissimo e nefasto, ma una forma di decenza e di rispetto per coloro che tennero duro e che vanno non idolatrati ma almeno non rinnegati. Certo viviamo l’epoca della cancellazione dei partiti politici e dei valori identitari e distintivi dei medesimi. L’era dei social e della velocità, dell’ignoranza e di un umanesimo ormai legato alla tecnologia più che alla cultura ed ai saperi. Un periodo in cui tutto ha un prezzo e niente un valore. Questo, tuttavia, non toglie che chi ci ha creduto meriti rispetto e che anche nella battaglia politica più aspra e cruenta si possano certo riconoscere torto e ragione, imparando a distinguere ed onorare il valore dei caduti di entrambi gli schieramenti. Fa bene dunque Veneziani a vestire le vesti dell’ingenuo, di colui che si meraviglia di quanto accada, perché solo il candore delle domande può mettere in evidenza che talune risposte sono sempre opache e mendaci. D’altronde sempre Flaiano scriveva che “siamo un popolo di santi e di navigatori, di figli, fratelli e nipoti”. Ora, chi si immerge nel gran “gioco dell’oca” che si pratica a Roma, perde ogni idealità ed è destinato a consumarsi sotto il peso ingravescente della lotta per il potere. E’ questo il senso del richiamo di Veneziani ai suoi “ex” camerati: un invito a rispettare la storia e chi l’ha fatta pur avendola superata e compresa nei suoi tragici errori sia ontologici che dittatoriali. Insomma: cancellato definitivamente il fascismo che marciava in orbace, pancia in dentro e petto in fuori, non bisogna sostituirlo con gli “sfascisti” che la gestione del potere ha di colpo reso eterni contemporanei, senza ascendenti né discendenti, né memoria né storia.

*già parlamentare

Gli italiani; I secoli hanno lavorato per produrre questo individuo di stanche ambizioni, furbo e volubile, moralista e buon conoscitore del codice, amante dell’ordine e indisciplinato, gendarme e ladro secondo i casi. Nazionalista convinto, vi dice come si doveva vincere l’ultima guerra e a chi si potrebbe dichiarare la prossima. Evade il fisco ma nei cortei patriottici è quello che fiancheggia la bandiera e intima ai passanti: giù il cappello

Ennio Flaiano – Diario notturno [1956]