*Addio al re senza corona* di Vincenzo D’Anna*
È deceduto Vittorio Emanuele di Savoia figlio ed erede legittimo di Umberto II, ultimo re d’Italia. Quest’ultimo salì al trono per l’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III, colui che aveva consentito al fascismo di sottomettere le istituzioni politiche e parlamentari ad una ventennale dittatura, rimase in carica solo poche settimane, dal 9 maggio al 18 giugno 1946. Circostanza, quest’ultima, che conferì ad Umberto II il “titolo” di Re di Maggio, avendo regnato nel breve periodo intercorso tra lo svolgimento delle elezioni per il referendum tra Monarchia e Repubblica del 2 giugno 1946. La vittoria della Repubblica, di stretta misura (e molto chiacchierata per le ipotesi di brogli), lo obbligò all’esilio a Cascais in Portogallo. Quello che era stato prima di salire al trono il principe di Napoli, uomo di rara bellezza e prestanza fisica, sposò una bellissima principessa, Maria José del Belgio. Il loro fu, di fatto, un matrimonio d’amore. Il padre, Vittorio Emanuele III invece, piccolo e gracile al punto tale da essersi guadagnato l’ironico appellativo di “sciaboletta”, passò alla storia per essere fuggito ignominiosamente a Pescara innanzi al nemico, oltre che per essere stato praticamente il regista della resa (armistizio dell’8 settembre 1943) agli angloamericani senza preavviso per le nostre truppe belligeranti. Insomma: la differenza con il figlio era a dir poco abissale. Non a caso non sono stati poche, nel corso degli anni, le visite ed i pellegrinaggi a Cascais da parte dei fedeli monarchici legati a quel re sfortunato, ma anche coraggioso e dignitoso che ebbe la sfortuna di regnare in tempi avversi e straordinari per l’Italia. Vittorio Emanuele di Savoia era l’unico erede maschio di Re Unberto II , nipote di Vittorio Emanuele IIII, che aveva anche tre figlie femmine, nonostante non avesse potuto mai mettere ufficialmente piede nel Belpaese. Come erede dell’ultimo Re d’Italia, amava quella che riteneva essere comunque la sua Patria. Insomma per quanto sussiegoso di carattere e di atteggiamenti aristocratici, Vittorio Emanuele di Savoia aveva ereditato più che un regno il profondo rispetto che si era guadagnato il padre Umberto. Quest’ultimo essendo stato un re, mostrava maggiore garbo e disponibilità. Da giovane, Vittorio Emanuele di Savoia era balzato agli onori della cronaca per un fatto increscioso: aveva provocato la morte di Dirk Hamer, 19enne tedesco raggiunto nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1978 da un proiettile esploso nel buio al largo dell’Isola di Cavallo, in Corsica. Arrestato fu poi assolto dalla giustizia francese dall’accusa di omicidio, essendosi provata l’accidentalità di quell’evento. In verità il “Principe dell’impero” come fu chiamato alla nascita Vittorio Emanuele di Savoia, era stato accusato anche di traffico d’armi ma anche per questo reato fu chiarito che egli faceva da semplice intermediatore per l’Augusta Bell e per conto dello Scià di Persia, Reza Pahlavi. Tra gli altri guai giudiziari del rampollo di casa Savoia, il 16 giugno 2006, su ordine del Gip del Tribunale di Potenza, arrivò l’arresto con le accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al falso, finalizzata allo sfruttamento della prostituzione nell’ambito di un’indagine legata al casinò di Campione d’Italia. Anche in quel caso Vittorio Emanuele di Savoia fu completamente prosciolto e addirittura risarcito per ingiusta detenzione. Insomma il “Principe” teneva famiglia, e si arrangiava alla grande con le intermediazioni d’affari sfruttando il blasone e le conoscenze, pur avendo sposta la ricca Marina Doria discendente degli armatori genovesi. Diversamente il padre Umberto aveva donato allo Stato la sacra Sindone. In più aveva omesso di chiedere la restituzione dei gioielli di famiglia giacenti presso la Banca d’Italia. Lo stesso aveva fatto con alcune “proprietà” della famiglia di grande valore sparse un po’ in tutta Italia. In una di quelle – il palazzo del Quirinale – alloggia oggi il Capo dello Stato, primo rappresentante di quella Repubblica che defenestrò, di fatto, la monarchia sabauda. In disparte l’albero genealogico e le vicende di vita dei singoli protagonisti, c’è un altra considerazione di maggiore spessore che sovviene alla mente in questo luttuoso frangente: quella del cambio di sistema tra i due modelli di Stato, ossia se quella scelta vittoriosa, seppur risicata e chiacchierata, della Repubblica, abbia favorito oppure danneggiato l’Italia. Per capirci: se un regime monarchico costituzionale, ossia basato sulla separazione dei poteri con un re che regna ma non governa, garante della legittimità e della correttezza istituzionale (un po’ come accade oggi nel Regno Unito), ed un parlamento che elegge chi governa, non ci avrebbero reso immuni dalla partitocrazia nella Prima Repubblica e dalla nullo- crazia della Seconda. Se avessimo potuto evitare circa quaranta governi in settant’anni, fenomeni di corruttela politica e burocratica, se l’Italia avesse avuto un riferimento certo e di alto tenore comportamentale di cui menare vanto. Un re che sia tale per cultura e responsabilità innanzi alla storia ed al popolo vale più di un presidente della Repubblica frutto di compromessi parlamentari e politici ed alla fine ineluttabilmente a questi assoggettato!!
*già parlamentare