*Forconi & forchettoni* di Vincenzo D’Anna*
E’ un fatto ormai scontato. Non esiste cosa al mondo che non sia…pedissequamente imitata da noi italiani!! Per capirci: il bovarismo, ossia la convinzione di ritenere sempre e comunque migliore quello che viene dall’estero , è una caratteristica tutta nostrana. Soprattutto se la questione nasce e si sviluppa in Francia, nazione da sempre al centro delle cosiddette avanguardie culturali, filosofiche e politiche. Per quanto reciprocamente antipatici, come tutti i “cugini” che competono per raggiungere primati nazionali, tra Roma e Parigi è sempre esistito un legame storico essendo stata la capitale transalpina il centro di attrazione della cosiddetta intellighenzia . Per non dire di quanti hanno trovato rifugio nella “Ville Lumiere”: pensiamo agli esuli delle varie rivoluzioni, quelle élite di pensatori, scienziati e artisti, costretti a fuggire dalla propria nazione per salvare la pelle. Insomma un crogiolo entro il quale prendevano forma idee che sarebbero poi divenute, in seguito, patrimonio di un intero Continente. Frequentare questa gente nei vari salotti parigini e nelle più prestigiose università francesi conferisce, tuttora, lustro e considerazione a prescindere per coloro che le praticano. Così è stato anche per la rivolta degli agricoltori il cui seme è stato piantato dai coltivatori francesi e tedeschi per poi espandersi, via via, in tutta Europa fino a attecchire per tutto lo Stivale. Parliamoci chiaro: le lotte sindacali in quei paesi sono molto più cruente rispetto a quelle vissute in casa nostra. Questo a causa della natura stessa dei sindacati d’oltralpe che operano in realtà dover l’operaismo è ancora molto presente nelle dinamiche e nelle rivendicazioni salariali e sociali. In Italia, invece, i sindacati sono ormai ridotti a rappresentare i pensionati e la pubblica amministrazione e per questo sono molto meno agguerriti e prudenti nel contrariare il governo. La rappresentanza dei lavoratori d’Oltralpe invece mantiene ancora intatte forme dure di lotta e di scontro e non mostra molta dimestichezza verso i compromessi consociativi coi governi, come invece accade con le analoghe organizzazioni sindacali italiane. In campo agricolo il Belpaese è sostanzialmente rappresentato dalla Coltivatori Diretti, l’organizzazione cattolica che per decenni ha rappresentato i piccoli proprietari terrieri, quelli che da braccianti si sono saputi trasformare in piccoli proprietari. Una naturale vocazione degli individui che operano in agricoltura, perlopiù seguaci dell’idealità dettata dalla dottrina sociale della Chiesa. “Al grido di tutti proletari, risponderemo con quello di tutti proprietari”, scriveva non a caso don Luigi Sturzo fondatore del partito popolare italiano agli albori del secolo scorso, allorquando una parte del movimento operaio si organizzava nelle cosiddette “ Leghe Bianche”, ossia le cooperative sociali cattoliche . Un mondo organizzatosi con il dettato dell’economista cattolico Giuseppe Tiniolo, in alternativa alle posizioni ideologiche socialiste. Un contrasto asprissimo con i cartelli marxisti che inseguivano ed eseguivano espropri proletari nelle campagne in nome della lotta di classe e del proletariato. Da quella tradizione, dopo il fascismo, sorse, per iniziativa di Ivanoe Bonomi, la “Coltivatori Diretti” che si radicò, un po’ alla volta, in tutta Italia fiancheggiando, nel sociale, la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Tempi lontani, quelli di cui stiamo trattando, ma che ci indicano perché oggi la piccola proprietà contadina è ancora molto diffusa ed alternativa alle cooperative sorte nelle regioni politicamente “rosse”. In questa cornice storica va ricordata anche la riforma agraria che De Gasperi realizzò segnando la fine del latifondo parassitario degli agrari e con esso ridurre la violenza dei “campieri” e dei “caporali”, il sistema di sfruttamento delle braccia, per quanto possibile. Oggi si ripropone di nuovo e sotto altre contingenze, la questione dell’agricoltura, della piccola proprietà contadina, della redditività del lavoro in campagna, ancorché meccanizzato oppure svolto in cooperativa. Insomma: la crisi discende dal consociativismo sindacale e dalla narcotizzazione delle lotte contadine, corroborata dalle balzane politiche agricole europee che preferiscono elargire sussidi economici agli agricoltori piuttosto che lasciarli produrre. Una mentalità burocratica e centralista quella che in questo settore viene da Bruxelles, che intende imporre la tipologia di coltivazioni alle singole nazioni ed in molti casi sopprimendo quelle che da secoli sono caratteristiche di quei territori. Una politica fallimentare come tutte quelle centralizzate e basate sull’assistenzialismo, vero paradosso di scuola per una politica europea che in altri campi appare, invece, sollecita nello spingere le economie nazionali ad uniformarsi ai principii della concorrenza e della liberalizzazione dei mercati, sanzionando gli aiuti di Stato alle imprese. In sintesi, quello che bisogna chiedersi è se l’Europa sia dotata di un’impronta politica ed economica liberale e liberista, oppure se è intenzionata a virare (a piacimento) verso forme impositive che alterano il mercato di concorrenza così come accade, ad esempio, in molti settori dell’agricoltura. I trattori che marciano quindi non sono tutti uguali. Alcuni si muovono per riprendersi le coltivazioni (tabacco, olio, frutta, verdura, grano) al posto dei sussidi compensativi; altri marciano per ottenere più assistenza senza produrre alcunché. Ai primi vanno solidarietà e sostegno, ai secondi bisognerebbe…”sgonfiare” le ruote. Insomma: è giunta l’ora di distinguere, nel frastuono della protesta, tra i forconi dei lavoratori ed i forchettoni dei parassiti!!
*già parlamentare