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*Palestina, il piano ebraico”
di Vincenzo D’Anna*
Abbiamo più volte scritto sul conflitto tra Israele ed i terroristi di Hamas, affermando chiaramente che lo Stato Palestinese è nelle mani di quella gente senza scrupoli che da anni insanguina quella terra per rivendicare diritti in danno degli Ebrei. Più volte abbiamo stigmatizzato, senza infingimenti, che la tesi di due popoli e due Stati si è rivelata, fino ad ora, fallace alla prova dei fatti perché nella striscia di Gaza si è insediato un pseudo governo che si copre formalmente dietro la scialba quanto impotente governance di Abu Mazen, l’attuale presidente fantoccio della Repubblica Palestinese. Un esecutivo nato da presunte “libere elezioni” vinte dal partito armato di Hamas e con ministri che sono diretta espressione di quel gruppo jihadista, la cui ideologia si esaurisce nell’odio verso Israele che dovrebbe essere cancellato dalla carta geografica. I capi di Hamas nei loro comodi rifugi all’estero, imbracciano il mitra, assaltano e fanno stragi nei Kibbutz al confine, lanciano migliaia di rudimentali ma micidiali razzi Qassam contro gli obiettivi civili ebraici. Altre tipologie di ordigni vengono loro forniti dai teocrati Iraniani, dalla Siria di Bashar al-Assad satrapo legato alla Russia, dallo Yemen e dal Libano ove opera un altro gruppo terroristico, “gemellato” ad Hamas, denominato Hezbollah. Insomma: un coacervo di nazioni arabe che utilizza da sempre i palestinesi come arma contro il Sionismo ma poi ben si curano di non accettare profughi, finanche nei paesi arabi moderati come l’Egitto e la Giordania. Paradossale che da anni buona parte delle risorse economiche alla Palestina provengano da Stati europei, da enti di assistenza, da organizzazioni internazionali facenti capo all’ONU come la FAO e l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi). Insomma da coloro che dovrebbero non parteggiare per i Palestinesi bensì solo assisterli. Tuttavia sia gran parte di quel popolo che ora soffre condizioni inumane, dovute alla spietata risposta militare ebraica, sia gli stessi Enti internazionali hanno svolto parte attiva di collaborazione e di collusione con Hamas. La maggior parte dei tunnel scavati dai terroristi per attaccare Israele partono anche dalle sedi di quelle stesse organizzazioni assistenziali, dalle case di comuni cittadini, da scuole ed ospedali mimetizzati artatamente per anni. Una verità provata e verificata ben nota anche alle cancellerie degli Stati occidentali che, tuttavia, elargiscono fondi pro Palestina. Un’ipocrisia politica diffusa che ha alimentato e finanziato il regime del terrorismo come “giustificato” dalle rivendicazioni palestinesi. Ne consegue che la questione due popoli e due Stati potrà essere realizzata solo tagliando tutte le teste di questi apparati. Come in Israele, Stato democratico con un regime parlamentare competitivo e diritti civili rispettati, allo stesso modo dovrebbe accadere sul versante palestinese ove da tempo c’è l’instaurarsi di un regime violento, costruito sul presupposto che la stella di Davide vada annientata. Spiacerà ai buonisti ed ai pacifisti strabici a senso unico ma senza reali garanzie di stampo democratico, in uno con l’eradicazione del terrorismo, saremmo punto ed a capo nel breve volgere di un lustro. La vulgata dei Palestinesi usurpati di terre che non furono mai le loro, in quanto territorio di uno Stato, poi perseguitati, per quanto storicamente fossero stati ricacciati dal re di Giordania sulla sponda opposta del fiume Giordano, affamati e derelitti per la protervia capitalista instaurata a Tel Aviv, ma poi sostenuti e finanziati da Stati capitalisti e dalle stesse Nazioni unite, suona molto falsa. E’ questo il punto politico da valutare, ossia come far coesistere la civiltà del diritto e del governo liberale di Israele con una paese confinante che coltiva una società fondata sulla negazione di quei diritti, caratterizzata dal fondamentalismo religioso, dal terrorismo sistematico, dall’odio radicale e dalla dittatura. Insomma: ha ragione Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, che comunque presiede un regolare governo, ancorché criticato perché ha dentro rappresentanti degli integralisti religiosi ebrei , ancorché inquadrati nel contesto di uno stato libero, laico e democratico. Il piano di pace di “Bibi”, a valere da quando sarà finita la guerra con la distruzione della rete di Hamas e dei suoi capi, prevede cose sensate, ossia allontanare da Gaza tutte quelle pseudo istituzioni non “neutrali” sostituite da altre entità serie e garanti di quella stessa neutralità. Da un amministrazione civile palestinese che rinunci alla violenza . Ma più di tutto occorrerà che il processo di pace non rinunci mai e poi mai all’instaurarsi di un decente regime democratico in Palestina che accetti e consideri, una volta e per tutte, Israele alla stregua di tutte quante le altre nazioni del mondo. Tutto questo richiederà una sorta di periodo transitorio, adeguatamente controllato, e siamo sicuri che nel frattempo tutti gli obiettivi istituzionali, politici e sociali potranno essere realizzati. Ancora : questo piano potrà mai essere accettato come condizione essenziale da quei paesi arabi estranei alla libertà ed hai diritti civili, ove regnano dispotici monachi, dittatori imposti da golpe militari ed ayatollah trasformati in guide spirituali di un popolo costretto a giacere sotto il loro tallone?!? E’ questo il vero nodo Gordiano da recidere, ossia se la coesistenza pacifica di due popoli tanto diversi trovi una sintesi nella vera democrazia e nella diffusa libertà, da sempre anticamere della tolleranza e della pace.
*già parlamentare