Sequestro Moro: il Br Azzolini ora tira in ballo un altro uomo

IL DELITTO – Nelle carte sulla sparatoria di Cascina Spiotta l’80enne accosterebbe Giorgio Moroni al rapimento del presidente Dc

“È stato Moroni… a dire… ma dopo mi ha tirato, ha fatto così (incomprensibile) quello che là stava scappando (…)”. E poi ancora: “I compagni GALLO e FIORE a un certo punto si inceppano… si inceppano… non c’avevano le pistole… le pistole. MORUCCI cazzo… che era uno che sapeva usarlo… quando ha visto i compagni a terra ha cominciato a spazzolare anche dalle altre parti”.

Sono parole dell’ex brigatista rosso Lauro Azzolini, oggi 80enne, contenute in un’informativa del Ros di Torino del 21 marzo 2023 e riguardanti l’inchiesta aperta a Torino per la sparatoria alla Cascina Spiotta del 5 giugno 1975 in cui morirono il carabiniere Giovanni D’Alfonso e la brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio. Per gli inquirenti, Azzolini starebbe parlando del sequestro del presidente della Dc, Aldo Moro, rapito in via Fani il 16 maggio 1978 (cinque gli uomini della sua scorta uccisi). E nel farlo aggiungerebbe un nome finora mai associato a quei giorni.

Azzolini, esponente del Comitato esecutivo dell’organizzazione durante il sequestro Moro ma non presente in via Fani, scambia queste parole con Antonio Savino, altro ex brigatista (estraneo all’inchiesta) arrestato dai carabinieri del generale Dalla Chiesa a Milano il 1º ottobre 1978. Dopo aver parlato dei fatti di Cascina Spiotta, “Azzolini – annotano i Ros – prosegue anche accennando al sequestro dell’onorevole Aldo Moro e racconta di alcuni passaggi d’azione in cui c’erano MORONI (verosimilmente Moroni Giorgio), GALLO (verosimilmente Gallinari), FIORE e il MORUCCI”.

Raffaele Fiore, Valerio Morucci, Prospero Gallinari sono già noti e tutti condannati per la strage del 16 marzo 1978 e per l’omicidio dello statista. Giorgio Moroni risulta completamente estraneo. Il suo nome non era mai stato fatto. Certo sarà necessario sentire l’intercettazione, verificare se non ci siano stati errori di trascrizione o di comprensione da parte degli inquirenti, sta di fatto che Giorgio Moroni non è mai entrato nella storia dei cinque processi sul sequestro e omicidio del presidente della Dc, né è mai apparso come coinvolto nel caso Moro nelle ricostruzioni delle diverse Commissioni parlamentari che se ne sono occupati, inclusa l’ultima presieduta da Giuseppe Fioroni.

Moroni, classe 1951, ex militante di Autonomia operaia, era stato arrestato durante il sequestro Moro per via di un comunicato di un gruppo armato genovese che conservava in casa, da lui pubblicato nella rivista Nulla da perdere. Indagato e processato con l’ex Br Enrico Fenzi tra gli altri, ha chiuso positivamente la sua lunga storia giudiziaria nel 1994 risultando totalmente estraneo ai fatti contestati. Moroni ha poi seguito altri percorsi e da tempo è uno stimato imprenditore.

Con Il Fatto Moroni, autore di due volumi sulla sua esperienza genovese editi da DeriveApprodi, non nasconde lo stupore: “È un buco nell’acqua, o un equivoco, non ho mai conosciuto Azzolini né mai ho avuto nulla a che fare con le Brigate rosse. Qualsiasi notizia relativa ad un mio coinvolgimento con le Brigate rosse – dichiara – è un’immensa sciocchezza come accertato con sentenza passata in giudicato della corte d’Appello di Genova che ha inoltre condannato lo Stato al risarcimento dei danni da me subiti. Non ho mai conosciuto nemmeno Fiore, Gallinari o Morucci, come da me dimostrato negli anni. Anzi – prosegue – per me le Brigate rosse erano una esperienza politicamente negativa già allora. Ho conosciuto ai tempi Enrico Fenzi, come era normale a Genova, e sapevo che fosse delle Br, ma politicamente non condividevo le loro posizioni”.

Gli inquirenti non sembrerebbero aver dato seguito alle parole di Lauro Azzolini (il cui avvocato, contattato dal Fatto, preferisce non commentare). Certo è che gli interrogativi sull’identità e sul numero di persone che parteciparono al sequestro non hanno mai trovato una risposta definitiva: “Si ritiene di poter affermare – sui legge nella sentenza di archiviazione della Procura generale di Roma del 2014 – che […] coloro che parteciparono in funzione operativa all’agguato di via Fani, la mattina del 16 marzo 1978, furono molti di più dei nove o dodici brigatisti indicati da Valerio Morucci”.

La chiusura delle indagini su Cascina Spiotta, comunicata il 1º marzo, riguarda oltre a Lauro Azzolini anche gli ex brigatisti Renato Curcio, Mario Moretti e Pierluigi Zuffada. Sarà il gip a decidere se aprire un nuovo processo.

Secondo la Procura di Torino, Lauro Azzolini partecipò alla sparatoria in cui morirono D’Alfonso e Cagol, ma fece perdere le sue tracce. Azzolini, intercettato con Savino, parla “esplicitamente della sua presenza” alla Spiotta, e disquisendo sulla poca preparazione militare delle Br, sia nella sparatoria alla cascina, sia nell’agguato di via Fani, riferisce in particolare per la sparatoria del 5 giugno: “Se io fossi stato addestrato, secondo te?!”. E ancora: “La MARA” e “la MARA… la MARA c’aveva le, le (da qui parla con tono di voce leggermente più alto) il mitra in mano… non l’ha mica usato!!! Ma c’hai il… aveva il mitra (…) non usi il mitra?”.

Su Cagol, il Ros si limita a confermare, sintetizzando le parole di Azzolini, quanto già riferito nell’unica sentenza di condanna esistente, ossia che uccise D’Alfonso sparandogli con una pistola. Ma come dimostrato già nell’inchiesta dei due giornalisti Simona Folegnani e Berardo Lupacchini, acquisita dalla Procura di Torino, “i risultati del guanto di paraffina non furono mai allegati agli atti del processo nel quale, attraverso le perizie, si tentò in tutti i modi di addossare a Margherita Cagol la responsabilità morale e materiale dell’omicidio di D’Alfonso. Nessuna impronta fu rilevata sulle armi, circostanza che rendeva impossibile stabilirne l’appartenenza e l’uso”.