*La giustizia questa sconosciuta.
di Vincenzo D’Anna*
Sono molte le definizioni su cosa sia il “Liberalismo” e come poterlo compiutamente definirlo . Quella che, nel corso del tempo, più mi ha convinto è: “il Liberalismo e’ la dottrina politica che si oppone agli abusi del potere, attraverso l’uso degli strumenti e delle istituzioni posti a garanzia della libertà, dei diritti personali e della democrazia”. Senza quella dottrina non avremmo mai avuto il Bill of Rigth inglese (1689), ossia il primo documento sulla libertà di parola e di opinione nel Parlamento Britannico. Insomma: l’abolizione dell’assolutismo decisionale e dell’arbitrario uso del potere da parte del regnante di turno. Quel documento di legge fece coppia con un altro celebre atto: l’Habeas Corpus, approvato pochi anni prima, che faceva salva l’incolumità dei prigionieri e la poneva come responsabilità a carico del carceriere. Da questi fermenti liberali nacquero poi sia la Costituzione americana di Filadelfia (dopo la secessione degli Stati americani dall’Inghilterra), sia quella europea di Parigi, dopo i moti rivoluzionari francesi alla fine del secolo dei lumi. Un prologo, il nostro, necessario per introdurre un discorso sullo stato della giustizia nel Belpaese, ossia da dove nasca il sentimento dei comuni cittadini ad avere diritto ad una giustizia giusta, serena, pronta ed efficiente e sopratutto senza gli arbitrii e gli abusi da parte dei magistrati che esercitano la giurisdizione in nome del popolo. Quei principi liberali ispirano e muovono la battaglia contro lo strapotere di certi inquirenti, la loro intangibilità anche innanzi a colpe palesi ed oggettive, la confusione terminologica tra autonomia dei giudici ed irresponsabilità dei medesimi, sempre e comunque. Il tutto consumato entro un sistema farraginoso e lento per gli anonimi ed i poveracci, veloce invece per i più noti, quelli che facendo notizia fanno anche da cassa di risonanza e di notorietà giornalistica per le toghe coinvolte nel procedimento. Ma soprattutto per la continua commistione di interessi di categoria tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, ossia tra chi accusa e chi invece è chiamato a valutare colpe ed innocenza. Per anni chiunque abbia osato proporre queste tematiche oppure commentato gli esiti di processi imbastiti con il debito clamore di stampa e poi finiti nel nulla, dopo aver rovinato vite, reputazioni e carriere politiche o personali, è stato sospettato di essere colluso con il malaffare da grillini e sinistroidi. Ma pian piano taluni fenomeni sono venuti alla ribalta delle cronache. Oggi la politicizzazione di certe procure i cui vertici sono stati “spartiti” in ambito politico con tanto di correnti e manuale Cencelli, è cosa ormai acclarata. Aggiungasi la legislazione di comodo creata dagli stessi magistrati a furia di sentenze come il fantomatico “concorso esterno in associazione”, reato non tipizzato e quindi nell’assoluta disponibilità interpretativa dei giudici di turno, e il quadro sarà praticamente ultimato. La ciliegina sulla torta? L’uso dei pentiti, autentiche canaglie, assassini, mafiosi o camorristi, elevati al sacro soglio del verbo incontestabile, nella piena disponibilità dei pubblici ministeri, ossia dell’accusa: l’ultimo anello di una colonna infame che ha travolto la vita di decine di migliaia di cittadini. Caserta e la sua classe politica amministrativa possono senz’altro essere portate ad esempio della sistematica distruzione, per via giudiziaria, dei principali protagonisti della vita pubblica. Con la recente assoluzione, in Corte d’Appello, dell’ex consigliere regionale Angelo Polverino si è chiuso un lungo calvario personale ma, parallelamente, si è allungata a dismisura la catena dei processi spettacolo finiti nel nulla ma capaci di annichilire quei personaggi che evidentemente non garbavano ai togati di turno ed ai loro referenti politici. Parliamoci chiaro: tranne qualche caso eclatante a sinistra, ad essere falcidiati, finora, sono stati gli esponenti del centrodestra. Quelli, per intenderci, che contavano elettoralmente. Alla fine praticamente tutti sono usciti indenni dal tritacarne della giustizia, ma…perfettamente eliminati dalla competizione politica, la loro presenza resa anacronistica ed inopportuna dopo i fiumi di fango e di sostanziale emarginazione che gli sono stati rovesciati addosso. Sono peraltro scomparsi dalla scena anche molti dei moralisti un tanto al chilo che in quel tempo si erano messi a fustigare i malcapitati, salvo poi rivelarsi tanto incapaci quanto immorali essi stessi!! Serve a qualcosa recriminare? Certamente sì!! Una giustizia che arriva dopo un decennio serve a poco oppure a niente per il malcapitato. Allora se la politica ha un suo scopo etico di fondo, essa va difesa allorquando chi l’ha sporcata ed ha avuto torto deve essere, esso stesso, additato al pubblico ludibrio. Soprattutto perché quella generazione di politici, già meno autorevole rispetto ai giganti casertani del Ventesimo secolo, e’ stata forzosamente rimpiazzata da terze e quarte fila politiche, di principianti e parvenu. Un cupio dissolvi che Caserta certo non meritava. Che ci sia stato un giudice a Berlino fa piacere, ma il danno politico-generazionale ormai è fatto e non troverà più ristoro. Purtroppo.
*già parlamentare