Insomma prepariamoci ad una vagonata di fango e di illazioni ed alla colonna infame per alcuni.

*Sandokan, pentito o strumento?* di Vincenzo D’Anna*

Il pentimento del camorrista Francesco Schiavone alias “Sandokan”, ha destato grande stupore ed al tempo stesso un diffuso scetticismo, soprattutto da parte di quanti ben conoscono la storia criminale del vecchio capoclan dei Casalesi. Dubbi e incredulità nascono dal fatto che il boss abbia deciso di collaborare con la giustizia dopo circa trenta anni di carcere duro, ossia del regime speciale 41.bis.

Parliamoci chiaro: chi ha già scontato un ergastolo e patito, per decenni, le inumane restrizioni della detenzione, non ha grandi motivazioni per saltare il fosso avendo praticamente consumato quasi tutta la propria vita dietro le sbarre. Nel contempo chi ha lasciato scorrere così tanto tempo tra l’arresto ed il pentimento rischia di rendere verosimilmente anacronistiche, se non inutili, ai fini giudiziari, le cose ha ha da rivelare agli inquirenti.

Al massimo, ciò che potrà dire, interesserà i giornali e coloro i quali seguono le vicende della cronaca nera. Chissà, forse Schiavone svelerà particolari su taluni fatti mai accertati, che serveranno tutt’al più a riscrivere la storia criminale di quegli anni.

Ho più volte ricordato come la legge sui pentiti sia stata varata nel periodo dell’emergenza terroristica: è vecchia di mezzo secolo e sovente viene utilizzata a beneficio di taluni pubblici ministeri i quali hanno in gestione i cosiddetti “collaboratori di giustizia” per imbastire processi senza prove.

Sarebbe quindi il caso di richiamare il combinato disposto esistente tra l’utilizzo di queste persone e lo pseudo reato di concorso esterno in associazione criminale, che tante volte ha consentito di incriminare ed incarcerare sventurati senza uno straccio di prova!!

Per essere ancora più chiari: di condannare politici emergenti, di collocazione quasi sempre destrorsa, sbattuti alla gogna perché sospettati di aver ottenuto lo scranno per scambio di voti e collusioni con la malavita organizzata.

In pratica, stangati perché rei di…raccogliere molti consensi!! Nicola Cosentino, ad esempio, sta scontando una pena a dieci anni di carcere per la sola “messa a disposizione”, vale a dire la conoscenza di soggetti a loro volta collusi con le cosche di camorra.

L’ex leader campano di Forza Italia è stato condannato senza che si sia mai evidenziato e provato alcunché di concreto o di illecito nelle sue condotte, né alcunché che lo potesse solo ipotizzare.

Un altro noto politico come Raffaele Lombardo, ex parlamentare e presidente della Regione Sicilia, per analoghe circostanze, è stato invece assolto perché mancavano gli elementi fattuali concreti a lui additabili. Insomma: come si sarà capito, l’imputato, spesso e volentieri, si ritrova in balia dell’interpretazione, ondivaga ed immotivata, del fatidico “concorso esterno”, un reato non tipizzato e nemmeno presente nel nostro codice penale!!

Non sfugge l’ovvia conclusione che il pentito può agire sia per vendetta che su sollecitazioni di vario tipo del pubblico ministero che deciderà i benefici da accordare al medesimo, col rischio di poter condannare chiunque senza avere alcuna concreta prova a riguardo.

Ed e’ lecito anche temere che “Sandokan” possa anche essere “utilizzato”dagli stessi magistrati per suffragare elementi indiziari o fornire conferme che, per via giudiziaria, non si siano mai potute ottenere.

Infine non è neanche azzardato ipotizzare che il tardivo pentimento del boss di Casal di Principe possa essere orientato a spazzare via altri clan emergenti, oppure farsi dissequestrare taluni beni e mettere al sicuro i propri familiari con un lauto appannaggio e la protezione dello Stato.

Insomma: il quadro che ne viene fuori è a dir poco inquietante perché i processi si celebrano rapidamente sui giornali e con tempi biblici nelle aule di tribunale.

Si immagini cosa succederebbe se venissero fuori un bel po’ di nomi di politici: la guerra mediatica e quella tra parti e controparti politiche sarebbe a dir poco immediata.

Tanto tutti sappiamo che gazzettieri e spargitori di fango, fogli politicizzati, retroscenisti e complottisti, sono lì, pronti ed in fervida attesa di armare i loro pezzi da novanta al primo “sussurro” del padrino.

Ebbene sì: corriamo il rischio di impantanarci in una nuova stagione di veleni con lo scontro tra giustizialisti e garantisti, partiti e movimenti politici, leader e politicanti da strapazzo, tutti pronti a sfidarsi imbastendo processi sommari anche sui social, alimentati dalla solita miriade di odiatori sociali e squinternati che si rifugia dietro la tastiera.

Già la politica, di questi tempi, ha ben poche occasioni di confrontarsi sulle cose serie senza indulgere nella polemica scriteriata e di bassa lega, per poterci permettere che l’imminente campagna elettorale per le europee debba “celebrarsi” sulle confessioni di un camorrista ed assassino.

Da tempo andiamo chiedendo una nuova legge sui pentiti che affidi questi ultimi nelle mani di un magistrato terzo che, in un tempo breve, ne verifichi la fondatezza delle dichiarazioni; da anni invochiamo una legge che definisca i limiti e gli ambiti dello pseudo reato del “concorso esterno”.

In ultimo, vorremmo scongiurare il pericolo che la magistratura politicizzata possa utilizzare, a suo uso e consumo, quello che Schiavone riferirà diluito nel tempo e per specifiche circostanze.

Negli Stati Uniti il collaboratore di giustizia che non riveli tutto quello che sa nel giro di sei mesi, non può ottenere più alcuna credibilità in futuro.

Noi però non viviamo in quel Paese ove la libertà personale è sacra e le istituzioni sono efficienti ed autorevoli. Dalle nostre parti si insegue lo scandalo come presupposto necessario per processare in anticipo il malcapitato, per cancellarlo definitivamente dalla vita civile e politica.

Figurarsi dopo trent’anni dai fatti evocati! Insomma prepariamoci ad una vagonata di fango e di illazioni ed alla colonna infame per alcuni.

*già parlamentare