«Caro compare Ciccio, questo è il momento di raccontare la verità nuda e cruda». E’ questo l’«invito» che Augusto La Torre, 62 anni – l’ex boss dell’omonimo clan di Mondragone, già laureato in Psicologia, titolare di vari corsi di laurea e master in criminologia, definito in passato «pentito a metà» – rivolge all’ex primula rossa Francesco Schiavone, alla fine di una lettera di tre pagine inviata nei giorni scorsi al suo legale Antonio Miraglia e ad altri destinatari, commentando la decisione di «Sandokan» di collaborare con la giustizia. «Schiavone-Sandokan, dovrà collaborare dopo 26 anni di detenzione e decine e decine di processi ormai irrevocabili, durante i quali lui stesso ha dichiarato che i pentiti mentivano – scrive La Torre – cosa farà adesso, dirà la verità sui pentiti che, secondo le sue dichiarazioni spontanee, avevano dichiarato il falso e si rotolavano nel fango, in primis sul proprio cugino Carmine Schiavone (deceduto) o resterà in silenzio?». La Torre, si chiede se saranno rivelati da Schiavone «intrecci con la politica, la gestione della camorra in diversi comuni dell’agro Aversano (richiamando qui nomi di altri collaboratori come Carmine Schiavone, De Simone, Quadrano, Iovine); se Sandokan svelerà i retroscena di un duplice omicidio di due uomini di colore uccisi per sbaglio di fronte all’Hotel Scalzone a Castel Volturno; se dirà la verità che lui conosce sull’uccisione di Enzo De Falco; se smentirà quanto affermato da suo cugino Carmine sul delitto di don Diana; se rilascerà dichiarazioni sugli affari gestiti con gli stessi suoi stretti parenti e, ancora, se smentirà i pentiti che hanno dichiarato il falso. Oppure resterà in silenzio?». E aggiunge: «Personalmente, conoscendo ‘compare Ciccio’ dal 1983-1984, spero possa chiudere la sua storia da uomo, e che quindi abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di dire solo la verità che è in sua conoscenza diretta, senza spaventarsi di nulla e senza conformarsi all’altrui volontà o finire in un tritacarne». Anche se il mio pensiero ha pochissimo valore, ma ha pari dignità di quello di altri – conclude – ritengo che se Sandokan «conserverà la sua autonomia di pensiero e il suo carattere, molti processi dovranno essere rivisti e molte condanne di innocenti dovranno essere annullate». La Torre, oggi detenuto a Padova nella sezione Polo universitario, è peraltro autore di alcuni libri tra cui il «Camorfista» e «Cosa Nostra in Terra di Lavoro», estratto da dalla sua ultima tesi di laurea in Sociologia, conseguita con 110 e lode, su una «autoetnografia analitica» del crimine casertano ‘mafizzato’. E’ stato un membro attivo sia del clan Bardellino sia del clan dei Casalesi; dal 2003 al 2020 ha ottenuto 38 sentenze che lo hanno riconosciuto collaboratore di giustizia decise tra i tribunali di Napoli, Roma e Salerno, senza mai essere condannato all’ergastolo ma, paradossalmente, limitato nei benefici premiali di legge. Circostanza, quest’ultima, che lo scorso novembre lo portò a indire uno sciopero della fame interrotto dopo aver perso 15 chili e quindi costretto ad un ricovero dopo un malore. Negli anni scorsi ha ritrattato alcune dichiarazioni al processo sulla strage di Pescopagano.

FONTE: BIAGIO SALVATI