SE 17 ANNI DI CARCERE SONO POCHI PER L’OMICIDIO DI UN DICIASSETTENNE-
Anass Saaoud, l’idraulico di 21 anni, di origini marocchine, accusato del delitto del 17 enne di Villa Literno Giuseppe Turco, ucciso con otto coltellate il 28 giugno dello scorso anno a Casal di Principe, è stato condannato a 17 anni di carcere. Il pubblico ministero Pia Sordetti ne aveva chiesti 17 e mezzo. Il processo si è svolto nel Palazzo di Giustizia di Napoli Nord, davanti al gup del tribunale Francesco Cirillo che è stato anche titolare delle indagini. Saooud ora detenuto nel carcere di Viterbo dopo una presunta fuga dall’ospedale di Aversa dove era stato portato per un ricovero, aveva scelto di essere processato con rito abbreviato. Il ventenne, assistito dall’avvocatessa Mirella Baldascino, appena dopo l’arresto ammise le sue responsabilità davanti al gip Ilaria Giuliano chiarendo i passaggi contestati e formulando anche le scuse alla famiglia del diciassettenne di Villa Literno ucciso in piazza Villa.
La vittima Giuseppe Turco
Stando quanto chiarito dall’accusa, Anass Saaoud uccise Giuseppe Turco per una banale lite nata per gelosia. La vittima era stata legata sentimentalmente ad una ragazza che in quel periodo frequentava anche il marocchino. Tutto iniziò con un battibecco degenerato con alcune volgarità in una sorta di forte diverbio e purtroppo in una rissa con l’accoltellamento avvenuto all’esterno di un bar a Piazza Villa a Casal di Principe. Subito dopo il ferimento mortate dovuto alla contesa amorosa, il ventenne fuggì, ma fu subito rintracciato grazie alle testimonianze dagli amici della vittima, i quali riferirono che già in passato i due si erano scontrati sui social per lo stesso motivo. Il luogo dove è avvenuto il delitto, già teatro di altri episodi di violenza in passato, è controllato da alcuni sistemi di videosorveglianza le cui immagini però diedero un contributo rilevante agli inquirenti. Giuseppe Turco avrebbe compiuto 18 anni il prossimo ottobre.La difesa dell’imputato replicando alla richiesta di una pena esemplare avanzata dalla parte civile, rappresentata dall’avvocato Tammaro Diana, ha rimarcato che il suo assistito meritava una pena equa e non mediatica. Secondo la difesa, prima del delitto ci sarebbe stata una provocazione da parte della vittima e, anche dalla base delle intercettazioni in carcere fra Saaoud e la madre, è emerso che quella sera sarebbe uscito per andare a divertirsi senza alcuna intenzione di uccidere. Insomma, sarebbe stato un delitto dovuto all’ira senza il dolo che era contestato dall’accusa inizialmente. Dopo il delitto, ci fu anche una risposta sui social del vicepremier Salvini che si mostrò solidale con il padre della vittima, il quale aveva chiesto pubblicamente un intervento dello Stato nella zona. Agli atti del processo sono confluite i vari elementi di prova, testimonianze, relazione autoptica compresa di esami tossicologici (eseguiti anche sulla vittima) e molte intercettazioni eseguite nel carcere durante i colloqui tra il giovane assassino e la madre. Intercettazioni che hanno anche chiarito che non fu organizzata alcuna fuga dall’ospedale come diffuso all’epoca dalla Polizia Penitenziaria. La parte civile ha ottenuto una provvisionale di 150 mila euro complessivi a favore dei tre familiari oltre ad un risarcimento da definirsi in sede civile. La motivazione sarà resa nota in novanta giorni: Saaoud – e questa è una scelta della difesa da intraprendere dopo il deposito della motivazione -.potrebbe ottenere uno sconto di tre anni rinunciando al ricorso in Appello sulla base della recente legge Cartabia.
PIEDIMONTE MATESE, LUPARA BIANCA OTTAVIANI. PASSA AI DOMICILIARI UNO DEGLI IMPUTATI (CARINI) DOPO UN ANNO E MEZZO. IL PROCESSO CON SOLI DUE IMPUTATI E’ MASTODONTICO: 16 MILA PAGINE DI ATTI E 80 TESTI.
Biagio Salvati – Svolta nel processo su un caso di lupara bianca risalente a 16 anni fa il cui processo si sta celebrando davanti alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere. Alfredo Carini, imprenditore di 70 anni, originario di Afragola (Napoli) ma residente a Letino. E’ accusato dell’omicidio dell’imprenditore immobiliare di Piedimonte Matese, Sandro Ottaviani, lupara bianca dal 2008. Carini ha ottenuto gli arresti domiciliari ad Afragola dopo una lunga battaglia intrapresa da un anno e mezzo dal suo difensore, l’avvocato Paolo Falco tra tribunale due decisioni del Riesame, due della Cassazione, una della Corte di Assise e infine quella positiva della Corte di Appello di Napoli. Anche se si tratta di una decisione attinente alla fase cautelare, i giudici partenopei hanno visionato tutti i verbali delle varie udienze sviscerati dal penalista, allegati alla richiesta di cambio di misura cautelare. Nel processo è imputato anche Antonio Cataldo Russo, 75 anni, originario di Roccaromana ma residente a Dragoni (difeso dall’avvocato Giuseppe Stellato) già ai domiciliari. Per la difesa si è sempre trattato di un caso indiziario.
Sebbene ci siano soli due imputati il processo risulta mastodontico: circa 80 testi da sentire e sedicimila pagine di atti giudiziari. Il corpo della vittima, l’imprenditore di Piedimonte Matese, Sandro Ottaviani, non è mai stato ritrovato. Nel 2020, il tribunale civile di Santa Maria dichiarò la sua morte presunta. Il cold case della scomparsa di Ottaviani fu riaperto dalla Procura sammaritana dopo 14 anni dai fatti. Un vero giallo, caratterizzato da una vicenda intrisa di punti oscuri, depistaggi, false accuse, millantato credito, testimonianze ritrattate e addirittura false accuse mosse da parte di uno degli arrestati contro Ottaviani. A cristallizzare la presunta colpevolezza, c’era stata una recente testimonianza, quella di una donna legata sentimentalmente ad uno degli arrestati, il Carini. A dire della testimone – che peraltro temeva il suo ex amante in quanto ritenuto violento – da uno sfogo intimo con lei il Carini avrebbe fatto capire di essere stato coinvolto in qualche modo nella sparizione dell’imprenditore matesino.
USURA A COMMERCIANTE DI MARCIANISE: PER ZIO E NIPOTE DI CAPODRISE CHIESTI 10 E 9 ANNI / 2 TENTATA ESTORSIONE, CHIESTI 8 ANNI PER 23ENNE EX STUDENTE UNIVERSITARI –
Usura ed estorsione anche mediante l’utilizzo del metodo mafioso: con quest’accusa, ieri, il pubblico ministero della Dda ha chiesto rispettivamente 10 e 9 anni di reclusione per Domenico e Raffaele Rossetti, zio e nipote di Capodrise, rispettivamente di 69 e 49 anni. Il processo che si svolge davanti al collegio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, vede vittima un commerciante, Tommaso M. di Marcianise. Oltre a restituire 60 mila euro in 6 anni (sulla base di un prestito di 29 mila euro) ha dovuto anche cedere un appartamento del valore di 170 mila euro intestato alla moglie. Per non parlare delle minacce avanzate dagli usurai che spendevano il nome del clan. I due imputati, secondo la Guardia di Finanza, avrebbero applicato tassi del 120 per cento e sottratto, con violenza e minaccia, l’ immobile che aveva posto a garanzia del debito contratto. Immobile poi venduto a terzi in buona fede con diritto di opzione. L’attività investigativa delle fiamme gialle partì dalla denuncia del «taglieggiato. Nel processo, il commerciante si è costituto parte civile assistito dal penalista Mariano Omarto. I reati di usura ed estorsione aggravati dal favoreggiamento mafioso perché avrebbero agito con il metodo camorristico a nome dei «Mazzacane» di Marcianise. A difendere gli imputati ci sono gli avvocati Angelo Raucci, Pietro Nardi e Antonio Pota. Intanto un altro pm della Dda, ha chiesto 8 anni di carcere per un giovane di 23 anni, studente universitario all’epoca dei fatti, coinvolto nel 2022 in una inchiesta della Dda sul racket ai danni di operatori commerciali, firmato dal clan Piccolo di Marcianise. Va precisato, che per Viciglione, difeso dall’avvocato Mariano Omarto, il gip del tribunale di Napoli aveva già annullato i domiciliari (sostituendoli con l’obbligo di firma). L’accusa è tentata estorsione, detenzione di armi e spari in luogo pubblico in concorso con altri, aggravato dalla camorra ma non gli è contestata l’associazione camorristica. Il giovaneaveva accompagnato un amico di infanzia da un commerciante, non sapendo che il coindagato stava commettendo un tentativo di estorsione aggravata (nel 2019) ai danni di una concessionaria di auto. Viciglione, all’epoca dei fatti, lavorava in un call-center ma aveva già spiegato al giudice di avere soltanto accompagnato un amico di infanzia (Gaetano Monica) il quale gli riferì che avrebbe dovuto fare un dispetto a una persona, e non una ritorsione per una richiesta estorsiva non accolta da un commerciante di auto.
FONTE: di Biagio Salvati da Il Mattino DI SABATO 6 APRILE 24