Il silenzio degli innocenti* di Vincenzo D’Anna*
La legge sull’aborto ha ormai compiuto quasi mezzo secolo da quando fu varata, nel 1978. Come quella sul divorzio, anche questa norma si rivelò estremamente divisiva spaccando praticamente in due l’opinione pubblica (ed il dibattito politico) dell’epoca. Non a caso nel 1981 fu svolto un referendum per chiedere l’abrogazione di quell’atto varato dal Parlamento, con esito però favorevole al suo mantenimento. La legge conteneva un impianto garantista per la libera scelta della donna a praticare l’aborto con la presenza di una serie di vincoli e di percorsi socio-sanitari che dovevano essere erogati in appositi consultori familiari. Anche il diritto del “nascituro” era tutelato dopo il 90º giorno dal concepimento, ossia qualora non fosse intervenuto l’aborto entro il terzo mese di gravidanza. Una previsione, quest’ultima, carica di ipocrisia e di compromesso politico, che tuttora rinvia il riconoscimento e la tutela del diritto alla vita ad un determinato lasso di tempo. Il che, in buona sostanza, equivale a dire che, pur essendo l’embrione un essere umano in via di sviluppo, questi può ricevere tutele e difese solo qualora non si sia già provveduto alla sua soppressione, un diritto alla vita solo se altri non avranno esercitato il “diritto” ad ucciderlo. Quanto sia sbilenca, sotto il profilo etico e giuridico, tale norma lo può comprendere chiunque senza scomodare giuristi e filosofi e neanche gli uomini di scienza che ben sanno che la vita nasce nel momento stesso del concepimento e non dopo tre mesi!! Per molti anni i favorevoli all’aborto hanno giustificato la propria posizione focalizzando la circostanza che si dovesse estirpare dalla radice la malapianta degli aborti clandestini, la lucrativa pratica che arricchiva ginecologi e levatrici compiacenti pronti, spesso e volentieri, ad agire in ambienti di fortuna, precari perché sguarniti di adeguate attrezzature. Il tutto a grave rischio e pericolo delle donne stesse. Sul fronte opposto in primis la Chiesa Cattolica ed i movimenti sorti a tutela della vita, eccepivano come quel sistema altri non fosse che un omicidio legalizzato di inermi, che in fondo non chiedevano altro che il tempo di poter crescere. Aggiungevano anche che il sistema, una volta applicato, si sarebbe rivelato un metodo neo malthusiano, richiamando, in tal senso, le tesi sostenute da Thomas Robert Malthus, filosofo, economista e sociologo inglese dell’Ottocento il quale osservava che, in presenza di una scarsezza di beni naturali disponibili (in prevalenza agricoli), si dovesse agire per limitare la popolazione così da poterla sfamare. Un’idea che anche i comunisti di Mao Tze Dong applicarono con la pratica della sterilizzazione di massa e le pene severe inflitte alle famiglie numerose. Altrettanto fece in Russia il satrapo sanguinario comunista Giuseppe Stalin il quale applicò, senza successo, una teoria di programmazione in agricoltura mediante i tristemente celebri piani quinquennali. A conti fatti, tali alzate di ingegno procurarono solo carestie e milioni di morti. Insomma, fatte le debite proporzioni (e le dovute distinzioni), anche in Italia il “pubblico” si è arrogato il diritto di stabilire provvedimenti che, alla fine della fiera, si sono rivelati semplicemente un metodo per limitare le nascite. Dei consultori, del sostegno psicologico, del preventivo intervento sulla coppia, non è rimasto alcunché ed il costrutto di base rimasto è stato quello di una pratica diffusa, a piacere, dell’aborto!! Senza distinzione di ceto sociale, cultura, età e fede religiosa oggi si abortisce a piacimento lasciando peraltro sulle spalle della donna questo dilemma. L’altro protagonista, infatti, il padre, non conta nulla e non fa praticamente parte di alcun percorso decisionale creando una disparità di genere all’incontrario della quale nessuno parla né s’interroga. Tralascio, per assenza di competenza e di delega, la trattazione degli aspetti squisitamente morali e di incoerenza con la fede professata, la profonda contraddizione per i credenti che abortiscono, se non per rilevare che anche in questo caso i vincoli morali della pastorale cattolica si sono allentati rispetto alle rigide prescrizioni di un tempo. Sul piano laico va considerato anche l’aspetto di quanto sia contraddittorio l’accesso sbrigativo alla legge 194 in una nazione che da anni registra più morti che nati. Su quale e quanto superficiale egoismo poggino i costumi sociali che limitano i figli per concedere, a quell’unico nato, un eccesso di cure e di attenzioni ed un futuro opulento e sicuro!! Eppure già oggi il 40% delle nascite è medico – assistito, anche per l’incidenza della tossicità ambientale sulla fertilità della coppie e si stima che, tra due o tre generazioni, gli uomini diventeranno del tutto sterili!! Infine, nel mentre si consuma un eccidio ed un abominio di tante vittime , resta l’aspetto etico-politico da considerare: nel tempo in cui la politica si riempie la bocca delle tesi libertarie qualcuno dovrebbe spiegare cosa sia la “libertà” di sopprimere un nascituro ed a cosa serva la libertà senza responsabilità. Spiegarlo nel mentre la mattanza si consuma nel silenzio degli innocenti.
*già parlamentare