*Il rasoio di Giorgia* di Vincenzo D’Anna*

Ormai bisogna farsene una ragione: nel terzo millennio la politica ha smesso di funzionare attraverso l’ausilio dei partiti, tuttora indicati, nella nostra Costituzione, come il trait d’union tra le istituzioni parlamentari e la società civile. Certo nella Magna Carta i movimenti politici furono identificati come semplici associazioni, libere aggregazioni bisognevoli soltanto di un atto costitutivo e di uno statuto redatto su base democratica tra privati cittadini. Null’altro. I padri costituenti non definirono altra configurazione né obblighi e controlli per la semplice ragione che l’Italia era uscita da vent’anni di dittatura e di negazione delle libertà civiche e politiche. Si ritenne, quindi, necessario esimere la politica da qualsivoglia condizione d’obbligo da parte di autorità statali o non statali che fossero, eliminando così sul nascere, la possibilità di poter controllare dall’alto i partiti condizionandone, in tal modo, la loro vita. Tuttavia gli schieramenti politici conobbero, prima ma anche dopo il Fascismo, un’esistenza fatta di regole e di procedure per determinare la scelta della classe dirigente e la linea programmatica da realizzare. Insomma: da semplici associazioni private i partiti si trasformarono in entità complesse, largamente distribuite su tutto il territorio nazionale fino a diventare, nel secondo dopo guerra, vere e proprie realtà partecipate da milioni di aderenti, con costi elevati e che, per funzionare, avevano bisogno di una macchina organizzativa enorme, gravata da un onere finanziario che diverrà , in seguito, esiziale per la sopravvivenza dei partiti medesimi. Questi ultimi furono bisognevoli sempre più di cospicui finanziamenti (statali o privat) quanto più aspro si fece lo scontro elettorale. Le maggiori risorse occorrenti si resero necessarie per fronteggiare l’avversario, con il risultato che, in breve, i soldi in politica diventarono l’equivalente degli armamenti in guerra. Questo incipiente bisogno porterà, alla fine del secolo scorso, al finanziamento occulto dei partiti e delle correnti organizzate al loro interno, nonché ai singoli leader ed i loro apparati, oltre i loro venali e personali bisogni. Infine fu Tangentopoli : la corruzione diffusa ed abituale con la relativa distruzione di molti di quegli schieramenti (Democrazia cristiana e Partito socialista in primis) che in quanto stabilmente al potere vennero maggiormente coinvolti, sia direttamente dagli imprenditori sia finanziati da Stati esteri come accadeva con il Pci che “beccava” soldi dall’Urss. Rimase fuori, in quanto eternamente ed ovunque all’opposizione, la destra missina, erede, in qualche misura, della rivendicazione storica e dei principii sociali del Fascismo. Con l’inchiesta del pool di “Mani Pulite” sparirono sia la partitocrazia (ossia l’imperio dei partiti sulla vita politica ed amministrativa del Belpaese), sia i partiti medesimi, quelli almeno fondati su ideologie e tradizioni storico- culturali ben precise. La stessa democrazia, pur di riaccreditarsi come dottrina dello Stato, si trasformò in plebiscitaria, ossia determinata da un sistema elettorale maggioritario nel quale i competitori erano sostanzialmente cartelli-alleanze elettorali tra formazioni che nascevano e si identificavano in soggetti nominalistici. La prospettiva di fondo era quella di aggregare tutto l’arco politico parlamentare in partiti unici – sul modello statunitense. La variegata gamma di formazioni presenti sulla scena della cosiddetta Seconda Repubblica, confluì in formazioni elettorali che però non divennero mai organicamente partiti unici. Scomparsa la storia e le idee fondanti dei vecchi partiti operanti nel “secolo breve” si diede dunque luogo a varie metamorfosi dei vecchi partiti ed al sorgere di nuovi, ad alleanze pensate sulla base di vaghe definizioni di Destra e Sinistra che poco o nulla avevano in comune con quelle originarie etichette. Venendo ai nostri giorni e ad un sistema elettorale, promiscuo e fallace (mezzo maggioritario e mezzo proporzionale), eccoci arrivati a vere e proprie “ditte personalizzate” che si affrontano più sulle reciproche idiosincrasie che su visioni dello Stato, dell’economia e della società ben distinte e distanti. Insomma: sembrano più delle tribù che si fanno la guerra durante le elezioni salvo poi governare con lo stesso metodo, ossia la leva del debito statale ed in nome di uno Statalismo pervasivo ed egemone che si trascina dietro le vecchie logiche di gestione clientelari ed assistenziali per acquisire il consenso. Finanche la rivoluzione antisistema del Movimento grillino, oltre che farlocca ed ignorante, si è trasformata in mera gestione dell’esistente ben amalgamata in quel sistema istituzionale che pure si pretendeva di sovvertire. E siamo quindi alla cronaca d’oggi, alle imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, di quell’unione europea che non è mai decollata dal centralismo burocratico e dal sistema di accentramento bancario e della moneta unica. Da mesi i leader delle “ditte” che si presentano alle elezioni, hanno sfogliato la margherita per poi annunciare la propria personale candidatura, intesa come battage pubblicitario di riferimento, più che per utilità a Bruxelles. Il nostro primo ministro alla conferenza programmatica del proprio partito, Fratelli d’Italia, a Pescara, ha invitato i cittadini a scrivere il proprio nome di battesimo, “Giorgia”, sulla scheda!! In pratica si è passati direttamente dai cognomi ai…nomi, proprio come si conviene tra familiari. Vedrete: presto, per rendere ancora più “nominalistico” il voto, si passerà ai vezzeggiativi!! Siamo ormai al paradosso del rasoio di Guglielmo di Ockham, il filosofo che invitava a realizzare il meno per fare il più e che sosteneva come una spiegazione semplice, che non richiedesse, cioè, successivi interrogativi, fosse anche quella più comprensibile. Vorrà dire che alle Europee di giugno avremo modo di sperimentare anche il nominalismo ed il…rasoio di Giorgia!!

*già parlamentare