*Chi custodisce i custodi?*
di Vincenzo D’Anna*
Ci siamo illusi che l’Umanesimo, inteso come termine utilizzato dagli antichi romani per indicare un processo educativo che conduceva alla piena conoscenza della cultura, non sarebbe mai tramontato come bussola per attraversare utilmente e diligentemente l’epoca in cui viviamo. E tuttavia così non pare. La scienza, infatti, la fa da padrona fornendoci, insieme alle nuove scoperte, anche un subliminale messaggio di onnipotenza. Essa ci illude che tutto possa esssre conosciuto e ricondotto nella disponibilità assoluta dell’Uomo. Tecnologia (con le sue prodigiose macchine), telematica (con la portentosa diffusione delle informazioni) e intelligenza artificiale (straordinaria moltiplicatrice di facoltà operative), ci assistono quotidianamente, riempiendo il sacco ormai vuoto dei saperi. Questo specialissimo mix supplisce sempre più alle deficienze personali ed a tal proposito basterebbe l’esempio di quanta gente diventerebbe semi-analfabeta senza l’ausilio dei moderni device!! Sempre più scarsi di attitudini e saperi, noi esseri umani del Terzo Millennio osiamo addirittura sentirci superiori a chi ci ha preceduto, per il semplice fatto che utilizziamo strumenti e metodologie assolutamente vicarianti del deficit cognitivo ed operativo che ci caratterizza come persone. In questo brodo di cultura i pensieri sono cambiati in peggio trasformandosi in azioni improbabili . Queste ultime, assimilate al rango di mere abitudini, hanno finito per farsi carattere e quindi condizionare la nostra esistenza. Prendete i nostri giovani: la maggior parte di loro conosce, si e no, duecento vocaboli. Troppo poco per poter formulare un pensiero degno di questo nome. Questo portato esistenziale approssimativo espone gli individui al plagio ed ai luoghi comuni, alle falsificazioni storiche e culturali propalate dai nuovi “cattivi maestri”. Il risultato sono le università in fiamme per la libertà della Palestina: una brutta copia dei moti con i quali, nel maggio del 1968, ebbe inizio la rivolta studentesca a Berkeley ed alla Sorbona. Parenti poveri di un tempo in cui chi protestava usciva dalla scuola dei saperi, ragionava non su di un fatto circoscritto e specifico ma intorno ad un sistema politico, sociale e culturale che, in molti suoi aspetti, era retaggio di leggi e mentalità che il riconquistato benessere post bellico aveva poco o niente scalfito. Per essere meno vaghi: si scendeva in piazza per dire no alle baronie universitarie, alla famiglia patriarcale con i suoi imprescindibili obblighi gerarchici, allo stato di soggezione sociale delle donne, all’ascensore sociale impedito a chi nasceva indietro e si voleva portare in avanti entro una società ancora classista e discriminante. Una rivolta, quella oltre mezzo secolo fa, che si abbeverava agli scritti di Marx, Sartre, Camus, Marcuse, Adorno, Croce, Sturzo, Einaudi, Hayek, Rosmini, Evola, Gentile, Milani, Pasolini, Moravia, Pirandello, Montale. Autori che, con le loro opere, avrebbero orientato la militanza politica di tante nuove leve, ponendosi come elemento distintivo di un impegno che era considerato positivo e pregevole per l’identità culturale dei singoli, in quanto espressione di un impegno sociale. L’esatto contrario di quel che oggi un giovane pensa della politica e di quello stesso impegno, fatti salvi il volontariato sociale e gli episodici slanci in caso di calamità naturali. Insomma, per dirla in breve: dietro il movimento del ’68 ci fu un pensiero colto, giusto o sbagliato che fosse; una base sulla quale poggiare il confronto e lo scontro che pure non mancò nelle sue forme più violente e radicali (anti sistema democratico). Cosa spinge oggi la protesta? Chi sono i protestatari che contestano sia la libertà che il sistema di vita, le conquiste e gli agi nei quali pure i nostri teen-agers sono cresciuti e di cui godono senza fatica? Una nuova contestazione al regime liberale, fin troppo permissivo, sembra connotare tutte le società occidentali. Quasi un rigetto in toto di conquiste e spazi di autodeterminazione e di espressione. Si manifesta per inneggiare e solidarizzare con società aventi costumanze sociali arcaiche e regimi politici illiberali, confessionali e violenti, discriminanti verso le donne ed i diritti delle persone. Insomma: una pessima riedizione del vecchio mantra anti capitalista, narrato perlopiù dai reduci del comunismo, convinti che i paesi poveri siano moralmente migliori di quelli ricchi. Siamo al cospetto della fallace e riduttiva visione della sintesi marxiana di un mondo semplicemente diviso in sfruttati e sfruttatori. In questo bailamme contraddittorio, quanto paradossale, si scorgono due fattori: l’ignoranza di chi protesta, peraltro con indosso buffi cappellini, telefonini di ultima (e costosa) generazione, auricolari, capi di abbigliamento griffati e la macchina o la moto parcheggiata sotto casa. Parimenti si scorge la mano di chi etero dirige le proteste, rispolverando vecchie tesi sessantottine contro il sistema. Insomma: siamo al cospetto dei tardo epigoni di un’epoca remota che, tra luci ed ombre, è stata già consegnata alla storia politico-sociale del cosiddetto “secolo breve”. Ora, se questi sono i nuovi custodi della libertà in Occidente (che operano contro la nostra civiltà) c’è da chiedersi, preoccupati, chi custodisca questi custodi, depositari di un vecchio ed illusorio armamentario ideologico? Non lotte avvedute ma semplici modi di sentirsi migliori
*già parlamentare