*In difesa di Mario Mori* di Vincenzo D’Anna*

Il generale dei carabinieri Mario Morì è un galantuomo, un fedele e coraggioso servitore di uno Stato in cui un potere insindacabile ed irresponsabile è finito nelle mani dell’ordine giudiziario. Meglio ancora di talune Procure che fanno e disfano a loro piacimento. Mario Mori è stato processato per ben undici anni, come comandante dei ROS (Reparti Operativi Speciali), con l’accusa di aver in qualche modo interloquito, o meglio, trattato, con la mafia siciliana per dare attuazione ad un compromesso scritto. Dopo anni di indagini e proclami da parte del pool di magistrati costituito presso la Procura di Palermo, si è scoperto che il famoso “papello” altri non era che un falso documento redatto da Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino, ex sindaco del capoluogo siciliano, parlamentare e politico democristiano colluso politicamente con Cosa Nostra, per anni utilizzato dai pubblici ministeri come fonte affidabile (oltre che collaboratore di giustizia). Lo scalpore suscitato dalla scoperta fu eclatante e distrusse, praticamente, il castello accusatorio delle toghe palermitane, assurte a sedicenti eredi di Falcone e Borsellino. Il generale fu condannato sulla base di teoremi e congetture mai provate a 12 anni di carcere salvo poi venire assolto in appello e successivamente in Cassazione. Nelle sentenze di assoluzione oltre all’inconsistenza dei teoremi accusatori, alla falsità del “papello”, si asserì che l’alto ufficiale dell’Arma aveva operato come normalmente fa un servizio segreto che si rispetti, per prevenire ulteriori attentati (come quelli che a Firenze a Roma e a Palermo avevano insanguinato il Belpaese) e per spezzare la strategia stragista di Totò Reina. Insomma: Morì fu spinto da spirito solidaristico e con l’encomiabile intenzione di fare in modo che la stagione delle bombe avesse finalmente fine. Chi opera ai confini della legalità per fare il lavoro che serve allo Stato ed alla sua sicurezza, lo fa nel modo possibile senza dover acquisire preventive autorizzazioni su procedure che non possono essere attuate alla luce del sole né tantomeno con tanto di carta bollata e con il beneplacito dei magistrati. Modalità note a chiunque abbia letto uno straccio di libro sulle “operazioni di copertura” che sono il pane quotidiano dei servizi d’intelligence. Ma in Italia, si sa, abbiamo tanti protagonisti in toga che queste cose non le tollerano né le hanno in simpatia, anche perché essendo quei magistrati di orientamento politico ben definito, soffrono di un pregiudizio nei confronti dei servizi. Con Mori, ricordiamolo, subì la gogna mediatico giudiziaria anche il famoso “Capitano Ultimo” che collaborava proprio agli ordini del generale del ROS e che arrestò il “capo dei Capi” Totò Reina. L’accusa per lui fu quella di non aver avvertito i magistrati che il covo del boss era stato liberato e come tale soggetto a perquisizione. Ovviamente tanto bastò per imbastire il processo contro i carabinieri che avrebbero perquisito – leggi sottratto oppure occultato – prove decisive!! Insomma tutto faceva brodo per accreditare l’esistenza di una forza occulta ben inserita nei gangli dello Stato, collusa con il potere mafioso e con una certa politica che andava protetta e coperta. Che dire? tutto era lecito pensare e dispensare affinché quei magistrati potessero costruire i loro teoremi senza uno straccio di prova e con l’uso di qualche pentito che avrebbe beneficiato, da mafioso dichiarato e spietato pluri omicida, dei benefici concessi dai pubblici ministeri. Vantaggi e benefici concessi finanche a Giovanni Brusca, soprannominato in lingua siciliana “u verru” (il porco), oppure lo “scannacristiani” per la sua ferocia, avendo disciolto nell’acido un fanciullo figlio di un pentito. Il combinato disposto tra l’uso pentiti ed il concorso esterno copriva le insufficienze investigative, le teorie farlocche dei cosiddetti eroi anti-mafia, finiti poi in politica come Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato, Pietro Grasso e Federico Cafiero De Raho, questi ultimi due schieratisi tra le fila dei movimenti contestatari e di sinistra. Una storia finita per il capo dei ROS? Niente affatto!! La Procura di Firenze gli ha appena notificato un avviso di garanzia con il capo d’imputazione di non aver evitato ed impedito le stragi!! Un’inversione rispetto alle sentenze emesse dalla Corte d’appello e dalla Cassazione. Insomma: si ricomincia da capo con una persona di 83 anni che di tempo da sprecare nei tribunali non credo ne abbia a sufficienza. Cosa dire? il mugnaio di Sans Souci, alla fine, trovò un giudice a Berlino che gli diede ragione contro il suo imperatore. Mario Mori invece può solo sperare di non morire di crepacuore!!

*già parlamentare