*Selvaggia e fella* di Vincenzo D’Anna*
Quale sia l’opinione comune dell’italica indole è cosa nota da tempo e non certo lusinghiera. Di espressioni da citare, d’altronde, ne abbiamo a bizzeffe. Qualcuna, addirittura, risale ai tempi di Dante il quale sosteneva che la “gente” della Penisola, dall’ordine ecclesiastico a quello signorile, aveva mostrato il più completo disinteresse per il buon governo e per la pace comune, con il risultato di trasformarsi in selvaggia e “fella”, vale a dire empia e scellerata. Nel mirino del Sommo Poeta finiva lo stato di abbandono e di confusione politica che regnava in quella che ancora era solo un espressione geografica chiamata “Italia”. E tuttavia, ancorché evolutesi, le “cose” dello Stivale non paiono essere molto cambiate sotto il profilo della gestione dei problemi, ancora impiccati all’approssimazione del prevedere ed all’improvvisazione del fare. Insomma: il dagherrotipo del governo e l’indole degli italiani non appaiono poi così diversi rispetto a quelli dei tempi antichi. Fattori storici, sociali e culturali, per quanto modificati ed adeguati ai mutevoli e progressivi contesti temporali, si sono stratificati su di un’essenza di base che ha continuato a rivelarsi come il tratto distintivo di un popolo, il nostro, unito, per secoli, solo dall’affinità territoriale e linguistica ma che solamente dal 1861 lo è diventato anche in maniera più organica trasformandosi in nazione. Sia come sia, questi siamo noi: tanto intelligenti da divenire furbi e tanto amanti della propria libertà da divenire inadatti a trasformarci concretamente in un’unica ed identica “patria”. Ed è proprio su questo presupposto ontologico che governare gli Italiani è diventato tanto difficile quanto inutile. Non c’è argomento o problema, infatti, che non dia origine a discordanze ed a contrapposizioni, vincolandosi all’utilitarismo ed al “familismo amorale” dei governati, spesso assecondati dagli stessi governanti. Un dato di fatto che si manifesta per le piccole o per le grandi cose senza eccezione alcuna, anche quando si è chiamati al compito grave di mettere in sicurezza la vita dei cittadini. Senza questi presupposti mal si comprenderebbe come innanzi ad un pericolo incipiente, oltre che noto da tempo, regnino ancora tanta confusione ed approssimazione sul da farsi. E’ appunto questo il caso che interessa sia la conurbazione flegrea sia quella partenopea, poggiata, da secoli, su ben trentadue bocche vulcaniche attive!! Migliaia e migliaia di persone si sono insediate in quei territori occupando spazi ed aree soggette al pericolo sismico, totalmente incuranti delle devastazioni che pure un fenomeno di tale portata potrebbe provocare, con buona pace del più collaudato e sicuro dei piani di sicurezza. Certo le carte saranno perfette, il progetto stesso apparirà impeccabile ma perché negare che tutto è stato basato su congetture opinabili e relativamente a fatti imprevedibili, che riguardano oltre un milione di abitanti che non defluiscono certo in pochi minuti verso aree interne sicure? Perché fare finta di non vedere che l’organizzazione di un’operazione di sgombero, in caso di catastrofe improvvisa, è semplicemente impossibile da realizzare in tempo reale? Inutile dire che gli stessi che, tempo addietro, hanno rifiutato finanche un sostegno economico per trasferirsi altrove, sono oggi pronti a scendere in piazza per chiedere alle istituzioni il…miracolo di provvedere alla loro sicurezza! Ma come si fa? Secondo le prime stime occorrerebbe ancora circa un miliardo ed il tempo necessario per portare a compimento le opere e le infrastrutture previste da quello stesso piano di sicurezza e di evacuazione, e che è ancora ignoto il costo delle allocazione di migliaia e migliaia di famiglie in ambiti sicuri. Dunque di che stiamo parlando? Di un’approssimazione che rasenta l’incuria e la sottovalutazione del rischio, venuto a galla per gli eventi sismici che stanno interessando parte dell’area flegrea e dei confinanti quartieri della città di Napoli. Ora, al vulcano che si agita ecco contrapporsi un altro vulcano: quello che imperversa nella testa del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, già tratto in salvo, elettoralmente parlando, nel 2020, dall’epidemia di Covid 19 quando, armato di “lanciafiamme”, sbarrò le porte della Terra Felix all’avanzata imperiosa del virus. Roboante il suo appello, in tal senso, a non perdere neanche un’ora di tempo (sic!!) innanzi a ben 170 scosse delle quali una di 4,1 gradi della scala Richter, ha fatto ballare Napoli e dintorni, provocando la chiusura di decine di scuole e di uffici pubblici, tutti da controllare (con un’ulteriore spesa di cinquecento milioni di euro). “Non si può fare colpa ai cittadini di essere nati in quelle zone” ha affermato l’ex sindaco di Salerno, liquidando con una battuta ogni responsabilità di chi ha scelto di edificare laddove non avrebbe dovuto. Demagogia impavida quella di De Luca che oggi propone il “bonus sisma” non essendoci altro da fare. Eppure sì che “da fare” ci sarebbe stato, eccome, negli anni delle scelte urbanistiche di Palazzo Santa Lucia, quando si potevano mettere vincoli per l’edificazione e per concedere incentivi tramite case a basso costo alloggiate, però, in altri luoghi. Almeno lo si sarebbe potuto fare per i centomila e passa che sono seduti sulla bocca del vulcano. Ma la Regione di De Luca, come l’Italia, è “selvaggia e fella”. Quindi vale il celebre detto: si salvi chi può!!
*già parlamentare