*Giustizia, tribunali e… mutande* di Vincenzo D’Anna*

Ebbene sì, la politica batte un colpo!!  Anzi due. Entrambi riguardano una modifica della magna carta costituzionale, la benemerita legge delle leggi sulla quale poggia, da settantasei anni, la complessa architettura dello Stato. Nel caso odierno, le modifiche  riguardano l’elezione diretta del primo ministro (premierato) e la riforma della giustizia. In  verità il tentativo di “restyling” non è nuovo ma ricorre per la quarta volta. Dopo un lungo iter parlamentare (almeno due letture per ciascuna assemblea legislativa), tale provvedimento necessiterà di una larga maggioranza parlamentare  per essere approvato, oppure dell’indizione di un referendum popolare confermativo. Dicevamo che non si tratta di una novità. Ebbene, dei tre tentativi pregressi uno solo superò il voto popolare, ancorché la legge di riforma fosse stata approvata con un solo voto di maggioranza sotto il governo di centrosinistra, presieduto da Massimo D’Alema. Le altre due – governi Berlusconi e Renzi – furono invece bocciate dagli elettori. Ma procediamo con ordine. La riforma approvata (quella dell’esecutivo D’Alema) modificava il titolo V della Costituzione, trasferendo alle regioni alcuni poteri come quello della gestione e dell’organizzazione del Sistema sanitario che, da nazionale, divenne territoriale. Alla fine i risultati sono stati più che scadenti, avendo dato vita ad un vero e proprio vestito di Arlecchino oltre a creare dei centri di spesa facitori di puntuali disavanzi e di disarmonie sulla qualità dei servizi resi agli utenti. In sintesi, non essendo cambiato il riparto del fondo economico statale assegnato agli enti locali, mediante una preventiva intesa nella conferenza tra lo Stato e le Regioni, i poveri sono rimasti poveri perché la più grande delle ingiustizie è stata quella di fare parti eguali tra diseguali. Insomma: il fondo non ha tenuto conto, per il riparto, della differente produzione di ricchezza connaturata alle singole regioni. Il sistema si alimenta sulla mobilità sanitaria che porta soldi e malati dal Sud al Nord, dalle clientele sanitarie all’efficienza operativa. Le altre due ipotesi di riforma, più ampie per la materia trattate, ancorché approvate in Parlamento con una più che sufficiente maggioranza, furono invece bocciate ai referendum. La partita quindi, venendo ai giorni nostri, non è affatto scontata e potrebbe anche trovare l’assenso di Camera e Senato ma non quello della conferma popolare. Del premierato abbiamo già parlato su queste stesso colonne, evidenziando come non sia certo quello il toccasana per rilanciare ed ammodernare la prassi politico-istituzione ed i tempi di approvazione delle leggi che restano assoggettate al bicameralismo perfetto, ossia alla doppia approvazione delle Camere. Parimenti  il premierato non incide su altri aspetti importanti come la natura dei partiti politici (che restano semplici associazioni private in mano a proprietari di ditte personalizzate), la legge elettorale e il peso farraginoso della burocrazia. Non così la seconda legge di riforma costituzionale, quella della giustizia. Quest’ultima, infatti, separa le carriere tra magistrati requirenti (pubblici  ministeri) e giudicanti, ossia inibisce ogni promiscuità tra le due funzioni qualora gli uni volessero cambiare il proprio tipo di impiego. In soldoni: chi giudica e chi accusa diventano cosa del tutto diversa anche come carriera parificando, in tal modo, il principio di terzietà nei confronti della difesa, oltre ad equiparare le due funzioni mettendole realmente sullo stesso piano. Un passo decisivo, credo ormai ineludibile, per dare corpo a quel giusto processo al quale tutti i cittadini aspirano, nel dannato caso in cui dovessero trovarsi in un’aula di giustizia!! Due diversi organi di auto controllo dei magistrati regoleranno, poi, le vicende delle due categorie ed i componenti di questi organi saranno sorteggiati tra un elenco qualificato determinato ed approvato dal Parlamento. Un meccanismo che per l’aleatoria determinazioni degli eletti, dovrebbe evitare la formazioni di correnti politicizzate che lottano per “presidiare” gli organismi di controllo dei togati. Insomma il metodo Palamara, la spartizione politico-sindacale dei componenti del CSM dovrebbe andare definitivamente in soffitta. Sarà bene precisare che l’indipendenza dei giudici dagli altri poteri costituiti dello Stato resta indenne e si conferma  concretamente autonoma. L’inconfessato desiderio, a questo punto, è che cessino gli abusi di un potere, quello giudiziario, che spesso ha esorbitato gli ambiti della giurisdizione, finendo per essere esso stesso un potere a volte assoluto ed intangibile. Come vada a finire nessuno può saperlo e certo ci saranno polemiche da parte di coloro che si sentiranno defraudati di un esercizio auto referenziale ed a volte inconferente. Già in Parlamento sul premierato i deputati della sinistra si sono tolti le giacche in aula per protestare contro il solito pseudo tentativo del governo di instaurare un regime. Nel caso della magistratura invece saranno i buoni cittadini vittime della mala giustizia a non doversi più calare, impotenti, nelle aule dei tribunali, le loro mutande!!

*già parlamentare