Elezioni europee: una finzione democratica (di Stelio W. Venceslai)
Nella prima decade di giugno si andrà a votare per il rinnovo del Parlamento europeo. Da più parti si pronostica una maggioranza di centro-destra rispetto alla coalizione attuale. Si pronosticano grandi cambiamenti, indefiniti ma comunque trionfalistici per chi vincerà. Pur trattandosi di elezioni europee, almeno in Italia, si guarda alle possibili conseguenze di queste elezioni sugli schieramenti politici interni e, infatti, nei comizi elettorali, nelle interviste e nei talk-show di tutto si parla, a proposito e a sproposito, tranne che di temi europei.
Che l’Unione europea debba cambiare è un po’ il pensiero di tutti. In che direzione debba andare, invece, c’è un vuoto assoluto.
Il rinnovo del Parlamento europeo è certamente un evento importante. Con legge proporzionale i popoli europei sono chiamati ad esprimere i loro candidati. Un esempio di democrazia unitaria. Il fatto è che il Parlamento conta poco o niente. Non se ne può non tener conto, ma influisce in minima parte sulle grandi opzioni comunitarie. Come diceva l’arguto Leo Longanesi, scomparso da tempo e che non ricorda più nessuno, al massimo il Parlamento può “parlarsi addosso.”
Chi decide, in parte, è la Commissione europea, ma solo in parte. Il suggello finale lo dà il Consiglio dei Ministri, previo un parere, obbligatorio ma non vincolante, del Parlamento.
La Commissione europea è composta da membri nominati dai Governi dell’Unione. Ogni Paese ha diritto ad avere un Commissario. Il Presidente della Commissione, poi, in base ad un suo giudizio, peraltro sollecitato dal Governo interessato, assegnerà i relativi portafogli e, cioè, le competenze dei singoli Commissari.
Il Parlamento non nomina nessuno. Al massimo, può esprimere il suo gradimento o la sua contrarietà. Quindi la funzione tradizionale dei Parlamenti, in Europa, praticamente è bloccata.
Chi governa realmente l’Unione sono gli Stati che ne fanno parte. In questo senso, le elezioni europee sono una finzione democratica perché, in Europa, gli eletti non possono nominare i Commissari (o Ministri) che governeranno.
La Commissione è quella che decide, ma solo in parte. Le proposte della Commissione sono rivolte al Consiglio dei Ministri degli Stati membri, che ha l’ultima parola. Aggiungo che, disgraziatamente, in virtù di una clausola scellerata introdotta tempo fa nei Trattati, il Consiglio decide all’un’unanimità. Basta un solo voto dissenziente perché si blocchi tutto.
Ne consegue che l’Unione europea dipende totalmente dagli Stati membri. Non ha alcuna autonomia politica. Se gli Stati non sono d’accordo e non vogliono, non si fa.
Allora, prendersela con la Comunità è prendersela con un obiettivo sbagliato. Del pari, illudersi che la presenza maggioritaria di questo o quel gruppo al Parlamento europeo possa preludere a un cambiamento è di un’ingenuità sconcertante. Stupisce che tante “teste” politiche in Europa prendano sul serio la cosa.
In tutto ciò che si dice sulle questioni europee, c’è un vuoto. Se il meccanismo decisionale non viene radicalmente riformato, le ambizioni, le presunzioni e le speranze sono solo un castello di carte. Chiacchiere vuote. Se una riforma ci deve essere, deve partire proprio dalla revisione di questo meccanismo, altrimenti il giocattolo non funziona.
Lo vogliono davvero cambiare gli Stati? Questo è il punto fondamentale della questione europea.
Si è fatto un gran parlare di nazionalismo. Ma tutti gli Stati membri sono nazionalisti. Nessuno vuole cedere un briciolo della propria sovranità. Qualche miracolo è stato fatto, nella politica agricola, ad esempio, nella concorrenza, nella politica doganale, ma perché conveniva a tutti per varie ragioni. L’ultimo è stato quello dell’euro, peraltro contestato dai sognatori più incalliti della lira o del franco.
Ora si parla di un esercito comune. Già parlarne è un fatto positivo, ma non è affare da poco. Da uno studio recentemente effettuato occorrerebbe impegnare almeno il 5% del PIL europeo. Una cifra da capogiro. Se, invece, si accorpassero i capitoli di spesa militare di ogni Stato europeo in unico capitolo di spesa comunitario, l’Unione avrebbe un bilancio militare di poco inferiore a quello degli Stati Uniti e della Russia. Ma sarebbero disposti a questo gli Stati?
Nessuno, poi, affronta la questione NATO. Come si porrebbe un eventuale esercito europeo nei confronti della NATO? Una nuova organizzazione militare europea a parti uguali con Usa, Canada e Regno Unito? Avranno gli Stati membri il coraggio di prendere questa decisione?
Di queste cose si dovrebbe discutere, perché riguardano il destino di tutti, dell’Europa e dell’Occidente. La questione se la von der Layen vada bene ancora per un altro quinquennio è del tutto banale, come la questione se la tedesca AFD (neonazista) avrà più o meno voti che alle elezioni tedesche oppure quale sarà la composizione dei gruppi parlamentari a Strasburgo.
Peggio ancora, se la risposta della Meloni a De Luca sia stata preparata in anticipo. Se di questo vogliamo interessarci, allora è inutile andare a votare. Non siamo maturi per l’Europa che vorremmo.
Roma, 30/05/2024