Sparigliare
spa-ri-glià-re (io spa-rì-glio)
SIGNIFICATO Disfare una pariglia, una coppia, specie di cavalli; nei giochi della scopa e dello scopone, far rimanere in gioco in numero dispari carte del medesimo valore, attraverso una presa combinata; destabilizzare, agitare, complicare una situazione specie per rimettere in ballo un risultato
ETIMOLOGIA attraverso il francese pareille, dalla voce del latino parlato ricostruita come parìcula, diminutivo di par ‘pari’.
- «Dici che è tutto deciso? Guarda come spariglio.»
Parola da carrozza, parola da tavolo di gioco, ma anche parola da colpi di scena. È particolare perché ci offre un concetto magnifico (in un suo taglio, estremamente utile) attraverso la figura di un’azione che, detta in altre parole, non ci aspetteremmo — perché è letteralmente quella di ‘spaiare’. Lo spaiare ci fa pensare a ciabatte reclamate dal mare, a calzini reclamati dalla lavatrice, a servizi di tazzine con piattini che vengono reclamati in pezzi dalla pattumiera, ma qui si parla d’altro.
Il significato più avanzato di ‘sparigliare’ è quello di creare una confusione utile a un certo scopo, destabilizzare una situazione e quindi anche un pronostico. Significato che dico ‘avanzato’ non perché difficile ma perché ancora i dizionari faticano a registrarlo, nonostante sia decisamente quello più in uso.
Ora, non ci stupisce che sia desueto lo sparigliare nel senso di ‘disfare una pariglia’, cioè una coppia di cavalli da tiro attaccati a un carro o a una carrozza, che quindi viene separata. C’è stato un lunghissimo tempo in cui era un’azione delle più ordinarie, ma adesso proprio no — e non è da qui che scaturisce il senso confusionario e destabilizzante dello sparigliare.
Non ci stupisce nemmeno che per quanto popolare sia settoriale il significato ludico-strategico del ‘lasciare un numero dispari di carte dello stesso valore’, particolarmente rilevante soprattutto nel gioco dello scopone scientifico. Naturalmente i quattro semi delle carte fanno sì che ce ne siano quattro col medesimo valore in gioco: quindi posso prendere una carta dal tavolo usandone una uguale (un sette con un sette), e ne resterà una terza da prendere con la quarta (un altro sette con l’ultimo sette). Ma se invece spariglio non prendo una carta con una corrispondente, ma con una presa combinata che ne lascerà in gioco un numero dispari — ad esempio: prendendo col re (che vale dieci) un sette e un tre, o prendendo un tre e un quattro con un sette, resterà in gioco un numero dispari di sette, e prendere gli altri sette sarà un po’ più difficile, e magari ne resteranno nel piatto finale.
È di qui che lo sparigliare si fa destabilizzante. È una mossa che agita una situazione, magari la complica e di sicuro la rimette in ballo in maniera diversa. Si prende il rischio di rompere una simmetria. Il partito può cercare di sparigliare le elezioni comunali con un candidato civico a sorpresa (spoiler: non ce la fa, è una pena), l’allenatore spariglia con un cambio di giocatori e di tattica, e sparigliamo l’impasse d’amore con una mossa audace e romantica.
Questo significato, così ricco e immediato, icastico, ha la complessità della vita vera, distillata nei secoli sul feroce campo dello scopone.
Merlo
Parole bestiali
mèr-lo
SIGNIFICATO Nome comune del Turdus merula, appartenente alla famiglia dei Turdidi; più impropriamente attribuito al “merlo indiano” (Gracula religiosa) della famiglia degli Sturnidi
ETIMOLOGIA dal latino merulum, di origine indoeuropea.
È da un bel po’ che il merlo si porta dietro la fama di stupidotto. Da così tanto, in effetti, che lo dice pure la Divina Commedia. Un’anima del Purgatorio racconta così la sua stolta superbia: “Io volsi in su l’ardita faccia, / gridando a Dio: ‘Omai più non ti temo!’, / come fé ’l merlo per poca bonaccia.” In particolare qui si allude alla leggenda dei “giorni della merla”, gli ultimi (e tradizionalmente i più freddi) giorni di gennaio.
Si racconta infatti che in origine tutti i merli fossero bianchi, poi una di loro sfidò Gennaio in persona, che era ormai sul finire, perché convinta di essere al sicuro dalla morsa del freddo. Il mese, irritato, chiese qualche giorno in prestito a febbraio (che perciò rimase con soli 28 giorni) e mandò il freddo più barbino che poté. La merla e la sua famiglia dovettero cercare scampo presso un comignolo, il cui fumo abbrunò le loro penne per sempre.
Peraltro la cattiva fama ha seguito il merlo anche in mare. Spesso infatti gli animali marini prendono il nome da animali terrestri (pescecane, pesce gatto ecc), e tra questi c’è appunto il merluzzo, che nell’immaginario comune non brilla certo per intelligenza.
Eppure il merlo è tra i pennuti più intelligenti e adattabili, tanto che in francese c’est un fin merle (è un merlo fine) significa: è un furbaccio. Ed è stato proprio grazie alla sua intelligenza che si è diffuso dappertutto, nella vita e – conseguentemente – nella lingua.
Merli, per esempio, sono chiamati quei rialzi in muratura che coronano le mura di torri e castelli, perché la loro forma ricorda la coda o il becco del merlo. E siccome, presi nel loro insieme, tracciano un disegno geometrico e aggraziato, da qui viene anche il nome del merletto. Perfino un famoso vino, il merlot, nasce dal merlo, di cui condivide il colore scuro.
E non è tutto: a loro insaputa, i merli hanno dato il nome a un paese intero. Kosovo infatti è la versione abbreviata di Kosovo Polje, ossia “la piana dei merli”, dove nel Trecento fu combattuta un’epica battaglia tra Ottomani e Serbi.
Ma perché il merlo, vista la sua intelligenza, ha una reputazione così disgraziata? In realtà il Passarini, nel suo storico dizionario dei modi di dire, registra “fare il merlotto” nel significato di fare lo sciocco, e precisa che merlotto vale “merlo giovane”. Quindi forse la stupidità era in origine associata solo ai pulcini del merlo, in opposizione alla furbizia dell’adulto. Tale opposizione sarebbe forse testimoniata anche da un verso del Petrarca, che ricalca un modo di dire popolare: “Già di là dal rio passato è il merlo”, ossia “il merlo ha passato il fiume” (è cresciuto, quindi non si fa più prendere).
Tuttavia il merlo non è l’unico passeriforme a essere tacciato di stupidità, giacché il loro carattere curioso e socievole rende relativamente facile catturarli. Tordo, per esempio, significa sempre sciocco, e ha dato anche origine al verbo stordire. E la stessa sorte è toccata a un uccellino meno noto, il calandro, che per questo però è passato come il merlo agli onori delle lettere. Calandrino, un tempo sinonimo di sempliciotto, è infatti uno dei personaggi meno svegli – e più noti – del Boccaccio.