*In difesa di Alessandro Barbano*di Vincenzo D’Anna*
Solo ieri, su questo stesso foglio, è stato pubblicato un mio fondo in cui si percorreva, per grandi linee, la storia dei sessant’anni di centrosinistra in Italia: una stagione politica che ha accantonato il liberalismo e soffocato il mercato di concorrenza (il liberismo) a tutto vantaggio dello Stato cripto socialista, onnipotente ed onnipresente, pervasivo ed invadente sia nella vita dei cittadini sia nella vita delle imprese private che stentano a concorrere con quelle statali i cui debiti vengono puntualmente ripianati (ed i clienti assicurati dal monopolio dei servizi loro assegnati). In quell’articolo evidenziavo come il complesso intreccio dei favori e delle elargizioni statali ha contribuito a creare uno stuolo di adepti anche negli organismi collaterali della stampa, della cultura, del mondo del cinema e del teatro, attraverso provvedimenti ad hoc a sostegno delle attività imprenditoriali degli editori, ossia di quella classe di “potenti” che da sempre privatizza gli utili e pubblicizza le perdite di esercizio. Queste “figure” influenzano le linee dei mass media nell’ambito di un patto inconfessato tra chi governa ed elargisce prebende ed aiuti e chi invece possiede gli organi di informazione. Non a caso dopo aver lungamente criticato il conflitto d’interesse e la concentrazione di reti tv e quotidiani nelle mani del Cavalier Berlusconi nulla si è mosso di sostanziale nel mondo della comunicazione e delle imprese che governano il comparto editoriale. Insomma: più che un conflitto d’interesse da destrutturare vi era un interesse al conflitto, ossia a screditare il leader di Forza Italia, un competitore politico vincente ed arrembante e proprio per questo da azzoppare in maniera definitiva. Troppi e diffusi gli interessi presunti per quanti ricoprivano cariche pubbliche ed istituzionali per dar vita ad una reale revisione dello stato dell’arte in quel delicato settore. Un vecchio aforisma liberale recita “chi possiede tutti i mezzi, stabilisce tutti i fini” ossia chi dispone di tv e giornali stabilisce ed orienta il fine ultimo da raggiungere nella informazione e nella cultura di massa. Insomma, lo sanno anche i bambini: se lo Stato finanzia un film, una compagnia teatrale o un artista, questi non potrà che orientare la sua opera nel senso auspicato da chi mette mano alla tasca per elargire il beneficio. Gli antichi romani sintetizzavano questa silente intesa con il motto “Beneficium accipere linertate est vendere” (accettare un beneficio equivale a vendere la propria libertà). E di questo si è sempre trattato per quel grande affarista che è Francesco Gaetano Caltagirone, che sin dai tempi del potere di Giulio Andreotti, ha imperversato in vari ambiti industriali ed imprenditoriali (calcestruzzi, acque minerali, holding editoriale) sfruttando spesso la benevolenza di chi in quel momento era al timone della nazione. Come editore del Messaggero, storico quotidiano della Capitale (e d’Italia), ha licenziato su due piedi, ad appena un mese dal conferimento dell’incarico, il direttore Alessandro Barbano. Il giornalista e scrittore, già direttore del Mattino di Napoli, sempre di proprietà della holding di Caltagirone, si è distinto per le battaglie riguardanti la giustizia, gli abusi del potere togato, la politicizzazione dell’azione giudiziaria e l’ingerenza dei magistrati nella vita politica italiana. Fin qui niente di male e niente di lesivo per il padrone del vapore. Quando, invece, si arriva a toccare chi detiene il potere, in questa particolare stagione politica, ecco scattare l’allarme rosso. Per non prenderla troppo per le lunghe, Barbano avrebbe osato chiedere alla premier Meloni, un’intervista in presenza, declinando alla richiesta, piuttosto diffusa e consueta, per la verità, di questi tempi, di un’intervista con domande e risposte scritte. Una cautela che avrebbe evitato i fraintendimenti del discorsivo e, soprattutto, l’eventuale replica del giornalista alle risposte fornite dall’intervistato. Insomma, secondo il giornalista molto meglio il dialogo dal vivo rispetto alle solite risposte scritte stereotipate, prive di mordente e senza alcun interesse per il lettore che, di argomenti edulcorati (e di circostanza), ne ha già piene le orecchie. Non a caso i telegiornali vomitano a tutte le ore notizie del genere nel cosiddetto “pastone”: una sfilza di telegrafiche dichiarazioni di pochi secondi e di categorica, apodittica, affermazioni sull’argomento del giorno, la cui lunghezza (e cronologia) è esattamente proporzionale alla percentuale di voti in dote all’esponte di partito intervistato. . Il canovaccio è arcinoto: frasi di plauso ed assenso per il governo (dai gruppi di maggioranza), svariate critiche e bacchettate da parte dell’opposizione. Un rituale che in tal modo salva “l’imparzialità” oltre che la banalità della rappresentazione oratoria dei partiti politici. Barbano ha detto no a questa “solita” recita. L’oramai ex direttore ha difeso il diritto di cronaca e la libertà d’informazione. Non lo celebreranno per questo. Egli, infatti, non appartiene alla squadra dei critici ad oltranza né dei reggicoda dei potenti noti. E’ solo un giornalista serio e che merita un encomio. Ed io lo difendo. Senza se e senza ma.
*già parlamentare