Capua lascia in rovina il suo antico anfiteatro: Spartaco vi combattè
Interventi discutibili e pratiche disinvolte nell’Anfiteatro romano da dove partì la rivolta del gladiatore più celebre dell’antichità. Un pezzo pregiato del patrimonio campano si presenta ai visitatori come un caotico cantiere
Immaginatevi il restauro di Epidauro, Chichén Itzá o Petra deciso da marito e moglie nel tinello d’una cucina: impensabile. Si tirerebbe addosso le più sprezzanti ironie planetarie: non si trattano così i patrimoni collettivi. Eppure da noi è successo anche questo. Ed è successo in uno dei luoghi simbolo dell’antica civiltà romana: l’Anfiteatro di Capua da dove partì la rivolta di Spartaco. Forse la più famosa di tutti i tempi. E ti chiedi: com’è stato possibile? E com’è possibile che un tesoro così importante, dopo restauri pesanti e discussi, sia oggi semichiuso da orride recinzioni da cantiere e abbandonato alle erbacce?
Certo, lo stadio che con i suoi 177 metri sull’asse maggiore e 139 sul minore poteva ospitare allora 60 mila spettatori in parte protetti da vele tese sopra le colonne, abbellito da decine di statue, famoso come il più grande del mondo dopo il Colosseo e costruito tra la fine del Primo e gli inizi del Secondo secolo dopo Cristo al posto del precedente celebre per la rivolta dei gladiatori, ha avuto una storia travagliata.
Devastato nel 456 dai vandali di Genserico, da un’incursione dei saraceni nell’841 e dai normanni nel 1058, usato via via da tutti come fortezza e saccheggiato nei secoli per tirar su castelli, chiese e palazzi, quando fu infine protetto nel 1826 da Francesco I delle Due Sicilie «mosso a compassione» — scriverà lo storico Mariano de Laurentiis — dalle «rovine immense (…) di sì grande e portentosa opera», il monumento era ormai un rudere. Non restava che «appena il primo piano con una piccola parte del secondo, pur ascendendosi sulla parte più alta a stento e col pericolo della vita per esser tutto rovinato».
Aperto al pubblico nel 1913, quello che ora si chiama Anfiteatro Campano ha comunque conservato un fascino irresistibile. Anche per i grandiosi sotterranei che ospitavano i macchinari e le scenografie per gli spettacoli e dai quali era possibile «veder sbucar de’ leoni, delle pantere, degli orsi affamati ed altre orribili belve feroci che all’istante venivano affrontate dai gladiatori pronti a ricevere i loro terribili colpi» per poi combattere tra loro.
«Reca orrore a leggersi presso gli scrittori antichi quanto sangue versavasi di continuo da quell’infelici», scrive de Laurentiis. E spiega che «la famosa scuola gladiatoria di Lentulo situata in Capua ne’ tempi della sua magnificenza» contava su «un numero strabocchevole di uomini, cioè a 40 mila gladiatori addetti soltanto pei pubblici spettacoli». Destinati a «divertire un popolo avido di sangue». Un orrore. Tanto da spingere nel 73 a.C. Spartaco di Tracia «e 80 gladiatori armati di coltelli» a fuggire scatenando la rivolta contro Roma che avrebbe man mano raccolto 120 mila gladiatori, schiavi, ribelli capaci per tre anni di tenere in scacco il potentissimo esercito romano. Una grandiosa epopea celebrata da tutti i ribelli della storia, da Karl Marx che vide in Spartaco il «genuino rappresentante dell’antico proletariato» agli «spartachisti» tedeschi Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, dai tifosi di varie squadre di calcio del mondo slavo a vari scrittori (tra cui Ippolito Nievo) e registi, a partire da Stanley Kubrick autore con lo sceneggiatore Dalton Trumbo del mitico Spartacus con Kirk Douglas.
Insomma, una dote immensa nell’immaginario collettivo planetario. Dote utile per attrarre finanziamenti, studiosi, turisti. Ma sprecata spesso in una serie di scelte sbagliate o peggio clientelari. Basti ricordare che a un certo punto, negli anni Novanta, lo stipendificio capuano aveva ancora 72 custodi e addetti vari (per una media di 41 visitatori al dì!) assunti ai tempi di Vincenzo Scotti e accasciati negli spazi d’ombra mentre un dirigente spiegava a chi scrive: «Onestamente: possiamo pretendere che si facciano pure un giretto tra le rovine sotto questo sole? Con questo caldo pazzesco?». Il tutto mentre l’Arena di Verona registrava in rapporto agli ospiti, per quanto il paragone fosse forzato dalle serate liriche, un carico di lavoro 732 maggiore. Dimezzato solo nel terzo millennio. E persino più ridotto oggi a fronte di numeri ancora bassi per un sito culturale così importante che conta, oltre che sull’anfiteatro, sul museo archeologico e sul prezioso Mitreo, forse il più antico dell’Occidente: 63 paganti al giorno. Meno (ahinoi…) del museo di Sperlonga. O se volete, contando anche gli ingressi gratuiti, un sesto dei visitatori di Castel del Monte, Andria, dove si può arrivare solo con l’auto propria.
A farla corta: lo Stato, i Beni Culturali e la Regione non hanno mai dato prova di investire più di tanto, rispetto ad altre aree, sull’antica Capua. Finché il 16 ottobre 2017, dai «fondi rinvenienti 2007-2013» l’allora ministro Franceschini recuperò 7 milioni per il restauro e la valorizzazione dell’anfiteatro. Più 440 mila per l’impianto antincendio. Non troppi ma neanche pochi, per un intervento serio.
Quattro anni dopo Ida Gennarelli, direttrice del Museo Archeologico dell’Antica Capua, dell’Anfiteatro e del Mitreo annuncia trionfante in una conferenza stampa ancora oggi online che cosa intende fare. A partire dal «progetto redatto dall’architetto Paolo Mascilli Migliorini, qui accanto a me e già direttore del Palazzo Reale di Napoli». E l’architetto, ricevuta la parola, si inchina: «Ringrazio la dottoressa Gennarelli che ci ha voluto coinvolgere in questa attività…». Ma come: lei presenta lui come un estraneo e lui ringrazia lei come un’estranea anche se sono moglie e marito?
Diranno: non c’era alcun impedimento legale, non c’erano guadagni, è stato solo per collaborare insieme a una cosa bella… Sarà. Ma l’opportunità? Certo è che a un certo momento («L’ho scoperto solo leggendo un trafiletto sul giornale», giura l’archeologo Massimo Osanna, direttore generale dei musei italiani dopo essere stato con il generale dei carabinieri Giovanni Nistri protagonista del rilancio di Pompei) è intervenuto il ministero della Cultura. Che ha di fatto «commissariato» con lo stesso Osanna il sito sostituendo il direttore dei lavori e avviando una revisione di varie cose. Stiamo a vedere.
Certo è che il quadro dell’Anfiteatro di Capua, oggi, è sconfortante. L’antica arena dove si battevano i gladiatori fino a pochi anni fa coperta di erba e tavolate di legno e grate scure è stata «ammodernata» e riluce di un bianco accecante, solcata da moderne grate azzurre. Il nuovo percorso intorno all’anfiteatro con le antiche basole dalle splendide forme irregolari prosegue in vialoni di piastre squadrate perfettamente come in un super-store brianzolo.
Ogni squarcio di struggente bellezza è stuprato dalle grandi paratie metalliche da cantiere di lavori che paiono destinati non finire mai (i soldi come capita sono arrivati dimezzati)e il tutto è preso d’assalto da una giungla di gramigna e sterpi che miracolosamente risparmiano solo l’unico pezzetto di terra curato con amore, cioè quello del punto di ristoro «Amico Bio» (ora sfrattato) per il quale si batterono Giulia Maria Crespi e il Fai.
Giurano oggi che i lavori ormai sono finiti e ci siamo quasi e saranno presto riaperti i sotterranei e sta per arrivare anche lo sfalcio… Per intanto è partita la nuova biglietteria digitale. Modernissima. Wow!
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