*Meritocrazia e pubblico impiego* di Vincenzo D’Anna*

Diciamocelo chiaramente: nel “Belpaese” i colpi di scena, sul piano sociale e politico, non sono mai mancati. E sarebbero anche di più se l’attenzione della pubblica opinione, oggi veicolata da quella fogna a cielo aperto chiamata social network, non fosse distratta da amenità varie e qualunquismo a buon mercato. Per capirci: fanno più scalpore la vicenda dei panettoni di Chiara Ferragni o le news legate al dimagrimento di Geppy Cucciari che non argomenti seri, che magari incidono pure sulla qualità della vita dei cittadini. Se così non fosse la metà degli elettori non avrebbe disertato le urne lasciando a quell’altra metà, la possibilità di decidere cose che comunque interessano tutti. Il distacco dalla politica e da quello che essa determina nell’esistenza degli individui, non nasce dalla sola ignavia e dal disimpegno ma dalla mancanza di consapevolezza che la politica non è sostituibile per governare la complessità sociale e le diversità individuali. Mille e più fattori diversi e mutevoli entrano infatti nella sfera della valutazione da fare e delle decisioni da prendere da parte dei rappresentanti del popolo . Risultato: se tu snobbi la politica, essa comunque si interesserà di te. Un vecchio aforisma americano così recita: “ogni qualvolta il parlamento è riunito sono minacciati la vita, la prosperità e la libertà dei cittadini”. Le leggi che usciranno da quelle aule parlamentari saranno infatti decisive per queste tre condizioni essenziali della nostra esistenza. Voltarsi dall’altra parte, quindi, rappresenta un sciatteria senza eguali. Tuttavia le cose stanno come stanno e sono ormai percentualmente pochi coloro i quali si interessano alla qualità ed all’opportunità delle norme alle quali dovranno pure obbedire. Un ulteriore esempio ci viene in questi giorni dalla politica e dai sindacati, che discutono sul nuovo contratto del pubblico impiego, ossia della vita lavorativa di milioni di dipendenti statali. Migliaia e migliaia di famiglie saranno coinvolte da quelle scelte, scaturiranno da questa trattativa che vede impegnati governo, sindacati, associazioni di categoria e portatori di interessi in materia. Una novità, tuttavia, rifulge in quella trattativa che è sempre stata solo una mera e propria rivendicazione monetara, avente come scopo il raggiungimento di un identico aumento percentuale dei livelli retributivi. Trattasi di una prassi consolidata, una vocazione ad omogenizzare i risultati che pure dovrebbero scaturire dal confronto. E tuttavia, come dicevamo, sembra che un lampo di luce stia per squarciare il grigiore dell’appiattimento, dei vincoli e delle abitudini pregresse!! La consuetudine di accontentare mediamente, in parti uguali, tutti i lavoratori dipendenti!! Il ministro Zangrillo e’ di altro parere, ha infatti messo sul piatto della trattativa una novità straordinaria: quella di conseguire un separazione tra retribuzione e merito. Nella proposta dell’esponente del governo per il rinnovo del contratto del pubblico impiego ha fatto capolino lo sganciamento tra la progressione della carriera e l’anzianità di servizio. Sì, avete capito bene. Oltre al prevedibile aumento degli stipendi, l’obiettivo dichiarato è quello di far acquisire maggiore importanza alle valutazioni sul merito dei dipendenti. In estrema sintesi si punta ad introdurre quel criterio valido in ambito privatistico, che lega la sorte del servizio alla scelta di chi ne usufruisce e lo richiede se sufficientemente gradito. Ora, in una nazione progredita senza lacci e laccioli burocratici, senza le perdite di esercizio sistematiche, quello del criterio di gradimento, ossia del merito, sarebbe la forza trainante sulla quale fare perno il successo dell’impresa. In Italia invece no. Nello Stivale accade tutt’altro. A casa nostra la demagogia politica, lo sperpero di denaro pubblico, le greppie clientelari ed elettorali sono da quasi mezzo secolo intangibili e soprattutto costituiscono il pane quotidiano dei sindacati che, più che i lavoratori, oggi rappresentano i pensionati ed i garantiti dal posto statale. Insomma: smontare l’idea che il posto pubblico rappresenti una comodità ed una sicurezza inamovibile tutta la vita, è ben difficile da farsi!! L’altro ostacolo è rappresentato dallo scarso impegno economico che il governo può garantire dopo i salassi debitorii dovuti a reddito di cittadinanza, PNRR e super bonus. Senza soldi non si fanno cambiamenti e ciascuno è portato a mantenere le posizioni acquisite. Niente più premi incentivanti e progetti obiettivo redatti dai dipendenti i cui risultati sono verificati da…sinedri interni alla stessa pubblica amministrazione: in pratica da controllori indicati dagli stessi controllati!! La spesa per il pubblico impiego sfiora i duecento miliardi di euro ogni anno ed è la seconda dopo quella delle pensioni. Un mare di denaro da non buttare più nel calderone dei parassiti e dei beneficiati politici ma dei meritevoli e dei capaci!!

*già parlamentare